Cimitero delle Fontanelle
Storia
Il Cimitero delle Fontanelle si trova in Via Fontanelle.
L’antico ossario si trova in una cavità che, come molte altre della zona, era sfruttata sin dall’antichità per estrarre il tufo, materiale di costruzione usato per gran parte degli edifici della città. A partire dal XVII secolo, questi spazi furono utilizzati per tumulare i corpi di tutti quelli coloro che non potevano permettersi una sepoltura singola, a cui si aggiunsero anche i numerosi morti causati dall’epidemia di peste del 1656, che causò almeno trecentomila decessi. Le cave furono utilizzate almeno fino al 1836, anno dell’epidemia di colera. All’inizio del secolo, inoltre, qui vi furono trasferiti anche tutti i corpi sepolti nelle cosiddette “terresante”, zone ipogee delle chiese che furono bonificate con l’arrivo dei francesi che, per ragioni sanitarie, decisero di vietare le sepolture vicino ai centri abitati.
Tutto funzionò più o meno senza intoppi finchè un’inondazione allagò la fossa comune spingendo in strada i cadaveri. Le ossa furono ricomposte nelle grotte in modo ordinato e, dopo aver costruito un altare, la cava fu utilizzata come ossario della città. Oggi, al suo interno si contano circa quarantamila resti, anche se, secondo una credenza popolare, le ossa che furono censite a fine ‘800 arrivavano al numero di otto milioni. Oggi, queste si troverebbero sotto l’attuale piano di calpestio, all’epoca disposte in modo ordinato fino a quattro metri di profondità.
Il cimitero monumentale fu aperto al pubblico nel 1872 e affidato dal comune al canonico Gaetano Barbati che, con l’aiuto del Cardinale Sisto Riario Sforza, risistemò i resti e ricavò una chiesa provvisoria nella prima cava, in attesa della costruzione di un tempio più grande per accogliere un numero sempre crescente di fedeli.
Il Cimitero delle Fontanelle, infatti, divenne negli anni il luogo simbolo della devozione verso le cosiddette “anime pezzentelle“, così chiamate perchè associate a morti abbandonati e dimenticati in fosse comuni senza che se ne conoscesse l’identità. La povertà e la miseria che caratterizzavano il popolo spingeva gli abitanti (per gran parte donne) del quartiere a cercare un aiuto nelle anime del Purgatorio, adottando un teschio per prendersene cura come se fosse stato un membro della famiglia, dedicandogli attenzioni, preghiere e chiedendo grazie.
Il rituale di “adozione” si svolgeva quasi sempre con tappe ben definite. Una volta scelto, il teschio veniva pulito e lucidato, per poi essere adagiato in un loculo di fortuna ricavato su fazzoletti ricamati e decorato da fiori e lumini. Durante le visite successive veniva aggiunto un rosario attorno alla testa e, poi, i fazzoletti venivano sostituiti da una cuscino. Dopo di che l’anima prescelta appariva in sogno e si faceva riconoscere, rivelando la propria identità e raccontando la propria vita, chiedendo preghiere e suffragi. Tutte queste apparizioni hanno arricchito di numerose leggende il cimitero, con diversi giovani morti prima del matrimonio, uomini caduti in guerra, o persone morte in circostanze drammatiche o singolari. La richiesta delle anime era sempre la stessa, cioè il cosiddetto “refrisco” (refrigerio), la possibilità di alleviare le proprie pene grazie all’intercessione dei vivi. Da qui nasce una delle espressioni ricorrenti presente nelle preghiere rivolte alle anime “A refrische ‘e ll’anime d”o priatorio”. In cambio si ricevano grazie o numeri da giocare al lotto. Se il rapporto era fruttuoso, il teschio si “guadagnava” anche una nuova casa. Non è raro, infatti, trovare qualche “capuzzella” racchiusa in una teca su cui veniva inciso addirittura un nome che, secondo il custode, era quello che l’anima stessa aveva rivelato in sogno. Al contrario, se le grazie non arrivavano, il teschio veniva abbandonato a se stesso e veniva sostituito da un altro. Tra i segni che le anime lasciavano ai vivi, il più diffuso era il “sudore”, cioè la condensa di umidità che si formava sul teschio. Se l’anima sudava, allora la concessione della grazia era molto probabile, altrimenti bisognava intensificare le preghiere o rassegnarsi e cambiare obiettivo.
Il culto delle anime pezzentelle raggiunse il suo apice soprattutto negli anni della Seconda Guerra Mondiale e in quelli successivi, periodo in cui il conflitto aveva portato lontano dalle famiglie numerose persone, provocato morti e distruzione a causa dei bombardamenti. Così il popolo, che era rimasto senza nulla, chiedeva ai morti una possibilità di scampare alla miseria e alla disperazione.
Verso gli anni ’60 del ‘900, la curia di Napoli, preoccupata per la deriva pagana e alquanto macabra di questa pratica, decise di proibire il culto delle capuzzelle, consentendo soltanto la celebrazione di una messa in suffragio di tutte le anime del purgatorio con annessa processione, in occasione della commemorazione dei defunti (2 novembre).
Col tempo, l’ossario cadde nel dimenticatoio e le anime pezzentelle dimenticate. Fino al 2002, anno in cui il cimitero fu riordinato e rimesso in sicurezza. Per qualche anno fu venne aperto solo in occasione del Maggio dei Monumenti, mentre dal 23 maggio 2010 fu definitivamente restituito alla comunità e reso accessibile tutto l’anno.
L’antico ossario si trova in una cavità che, come molte altre della zona, era sfruttata sin dall’antichità per estrarre il tufo, materiale di costruzione usato per gran parte degli edifici della città. A partire dal XVII secolo, questi spazi furono utilizzati per tumulare i corpi di tutti quelli coloro che non potevano permettersi una sepoltura singola, a cui si aggiunsero anche i numerosi morti causati dall’epidemia di peste del 1656, che causò almeno trecentomila decessi. Le cave furono utilizzate almeno fino al 1836, anno dell’epidemia di colera. All’inizio del secolo, inoltre, qui vi furono trasferiti anche tutti i corpi sepolti nelle cosiddette “terresante”, zone ipogee delle chiese che furono bonificate con l’arrivo dei francesi che, per ragioni sanitarie, decisero di vietare le sepolture vicino ai centri abitati.
Tutto funzionò più o meno senza intoppi finchè un’inondazione allagò la fossa comune spingendo in strada i cadaveri. Le ossa furono ricomposte nelle grotte in modo ordinato e, dopo aver costruito un altare, la cava fu utilizzata come ossario della città. Oggi, al suo interno si contano circa quarantamila resti, anche se, secondo una credenza popolare, le ossa che furono censite a fine ‘800 arrivavano al numero di otto milioni. Oggi, queste si troverebbero sotto l’attuale piano di calpestio, all’epoca disposte in modo ordinato fino a quattro metri di profondità.
Il cimitero monumentale fu aperto al pubblico nel 1872 e affidato dal comune al canonico Gaetano Barbati che, con l’aiuto del Cardinale Sisto Riario Sforza, risistemò i resti e ricavò una chiesa provvisoria nella prima cava, in attesa della costruzione di un tempio più grande per accogliere un numero sempre crescente di fedeli.
Il Cimitero delle Fontanelle, infatti, divenne negli anni il luogo simbolo della devozione verso le cosiddette “anime pezzentelle“, così chiamate perchè associate a morti abbandonati e dimenticati in fosse comuni senza che se ne conoscesse l’identità. La povertà e la miseria che caratterizzavano il popolo spingeva gli abitanti (per gran parte donne) del quartiere a cercare un aiuto nelle anime del Purgatorio, adottando un teschio per prendersene cura come se fosse stato un membro della famiglia, dedicandogli attenzioni, preghiere e chiedendo grazie.
Il rituale di “adozione” si svolgeva quasi sempre con tappe ben definite. Una volta scelto, il teschio veniva pulito e lucidato, per poi essere adagiato in un loculo di fortuna ricavato su fazzoletti ricamati e decorato da fiori e lumini. Durante le visite successive veniva aggiunto un rosario attorno alla testa e, poi, i fazzoletti venivano sostituiti da una cuscino. Dopo di che l’anima prescelta appariva in sogno e si faceva riconoscere, rivelando la propria identità e raccontando la propria vita, chiedendo preghiere e suffragi. Tutte queste apparizioni hanno arricchito di numerose leggende il cimitero, con diversi giovani morti prima del matrimonio, uomini caduti in guerra, o persone morte in circostanze drammatiche o singolari. La richiesta delle anime era sempre la stessa, cioè il cosiddetto “refrisco” (refrigerio), la possibilità di alleviare le proprie pene grazie all’intercessione dei vivi. Da qui nasce una delle espressioni ricorrenti presente nelle preghiere rivolte alle anime “A refrische ‘e ll’anime d”o priatorio”. In cambio si ricevano grazie o numeri da giocare al lotto. Se il rapporto era fruttuoso, il teschio si “guadagnava” anche una nuova casa. Non è raro, infatti, trovare qualche “capuzzella” racchiusa in una teca su cui veniva inciso addirittura un nome che, secondo il custode, era quello che l’anima stessa aveva rivelato in sogno. Al contrario, se le grazie non arrivavano, il teschio veniva abbandonato a se stesso e veniva sostituito da un altro. Tra i segni che le anime lasciavano ai vivi, il più diffuso era il “sudore”, cioè la condensa di umidità che si formava sul teschio. Se l’anima sudava, allora la concessione della grazia era molto probabile, altrimenti bisognava intensificare le preghiere o rassegnarsi e cambiare obiettivo.
Il culto delle anime pezzentelle raggiunse il suo apice soprattutto negli anni della Seconda Guerra Mondiale e in quelli successivi, periodo in cui il conflitto aveva portato lontano dalle famiglie numerose persone, provocato morti e distruzione a causa dei bombardamenti. Così il popolo, che era rimasto senza nulla, chiedeva ai morti una possibilità di scampare alla miseria e alla disperazione.
Verso gli anni ’60 del ‘900, la curia di Napoli, preoccupata per la deriva pagana e alquanto macabra di questa pratica, decise di proibire il culto delle capuzzelle, consentendo soltanto la celebrazione di una messa in suffragio di tutte le anime del purgatorio con annessa processione, in occasione della commemorazione dei defunti (2 novembre).
Col tempo, l’ossario cadde nel dimenticatoio e le anime pezzentelle dimenticate. Fino al 2002, anno in cui il cimitero fu riordinato e rimesso in sicurezza. Per qualche anno fu venne aperto solo in occasione del Maggio dei Monumenti, mentre dal 23 maggio 2010 fu definitivamente restituito alla comunità e reso accessibile tutto l’anno.
Dove si trova - mappa
Foto
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Le foto sono tratte da:
Wikipedia
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È nota tutta la storia del cimitero delle fontanelle e le ragioni dei rituali che vi sono legati ad opera della devozione dei napoletani, ma forse non pochi, dediti allo studio dei risvolti esoterici, vorrebbero venirne a conoscenza. Ed ecco la ragione di questa mia recensione.
Nel cranio si attua uno dei sigilli fondamentali del mistero della morte e redenzione il cui nesso è legato al sale. I gruppi alchemici rosacrociani lo simboleggiavano con un cerchio tagliato a metà da una linea orizzontale Θ. Esso deriva dalla theta maiuscola di Thanatos, che in greco significa «morte». Frequentamente in alchimia il sale rappresenta il processo mentale, che è un processo di morte. Il sale, come residuo dell’attività spirituale che avviene nella nostra mente è la scoria che resta quando la vita è volata via, è il cranio, il caput mortuum, la polvere bianca residua dopo l’estrazione dell’oro. È la cenere del pensiero.
Il caput motuum è il cosiddetto Terzo Sale, fondamentale per l’opera alchemica conclusiva per costituire uno dei componenti dell’uovo filosofale. Quando la testa – o la sua attività spirituale che chiamiamo mente – raggiunge il punto in cui non è più in grado di capire, in cui l’ordine dell’universo sembra frantumarsi, allora produce lacrime salate.
Nel vangelo di Matteo, infatti, «sale della terra» sono gli eletti, ossia gli iniziati e non, come si tende oggi a pensare, quanti sono poco più che semplici contadini. Nei secoli lontani gli eletti sedevano al posto d’onore, «più in alto del sale», perché avevano conquistato il sale che avevano dentro di sé. Nell’Apocalisse di Giovanni 7,4 si parla dei centoquarantaquattromila segnati di tutte le tribù dei figli d’Israele e sono quelli che dopo la loro tribolazione «Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura; perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi” » (Ap 7,16-17). Ed ecco spiegato il mistero delle “lacrime salate”, le lacrime amare.
Gaetano Barbella