Palazzo Ruffo di Bagnara
Storia e architettura
Il palazzo Ruffo di Bagnara si trova in piazza dante 89.
L’edificio venne costruito tra il 1629 e il 1631, per volontà di Giovan Battista De Angelis, noto avvocato e notaio. Alla sua morte, sopraggiunta per una caduta da cavallo, la proprietà passò al figlio Antonio che riuscì ad entrare negli ambienti di corte grazie ai servigi che offriva al viceré Manuel de Zuñiga y Fonseca che lo nominò Eletto dal Popolo, carica che, successivamente, gli permise anche di essere nominato regio consigliere. Questo ruolo, che fu conservato anche durante i due viceregni successivi, portarono il de Angelis ad inimicarsi il popolo, visto che sue furono molte delle decisioni riguardanti l’aumento delle tasse. Per questo motivo, durante la rivolta di Masaniello (1647), l’edificio venne saccheggiato e dato alle fiamme. In seguito, nel 1647, il palazzo venne ereditato dai figli di Antonio e venduto al duca di Bagnara, Francesco Ruffo. Quest’ultimo era capitano dell’Armata Navale Gerosolimitana che, durante le sue missioni aveva messo da parte una buona quantità di preziosi che decise di investire acquistando e ristrutturando il palazzo.
I lavori, effettuati nel 1660, vennero affidati all’architetto Carlo Fontana, allievo del Bernini, che si preoccupò di rifare la facciata. Infatti, sopra un basamento di pietre bugnate, realizzò due piani di ordine ionico e un attico, con mattoni e colonne e cornici in piperno. Il portale, invece,realizzato in granito, fu realizzato con un grande arco sorretto da lesene rettangolari bugnate, che terminano con capitelli ionici. Qui vi è una mensola con tre leoni posti a sorreggere il balcone del piano nobile, a sua volta incorniciato tra lesene e sovrastato da un timpano semicircolare con un mascherone al centro.
Lo stabile passò di proprietà tra gli eredi della famiglia fino ad arrivare a Vincenzo Ruffo che, nel 1842, affidò all’architetto Vincenzo Salomone per abbellire l’edificio secondo i canoni barocchi del tempo. All’esterno vennero rifatte solo le ringhiere, mentre all’interno dotò il palazzo di una sfarzosa sala da pranzo ricca di cristallo, mentre realizzò un altro salone venne decorato con un soffitto in stucco e una terrazza coperta, nella quale vennero collocate delle statue allegoriche realizzate da Carlo Finelli, da Pietro Tenerani da Pierre-Théodore Bienaimé e da Lorenzo Bartolini.
In seguito, l’edificio passò a Vincenzo Ruffo che donò tutte le collezioni di quadri, mobili e preziosi allo stato, tutte conservate nel Museo di San Martino. Poi, la proprietà fu di Giuseppe Gironda, principe di Canneto.
All’inizio del XIX secolo, Vincenzo Salomone effettuò alcuni restauri e, successivamente, il palazzo fu abitato dal marchese Basilio Puti che vi fondò una scuola, con l’obiettivo di formare i cosiddetti “puristi”, ovvero letterati che durante il romanticismo cercavano di diffondere la lingua toscana classica, con il secondario obiettivo di raggiungere un’unità nazionale, per lo meno linguistica.
A questo istituto, successivamente si aggiunse anche quello di Architettura civile delle Arti del disegno che rimase in questa sede fino al trasferimento in Palazzo San Giacomo.
Successivamente, il palazzo fu diviso in varie proprietà e venduto a diversi privati. Infine, ricordiamo che alla sinistra dell’ingresso si trova la porta dalla quale si può accedere alla piccola cappella privata della famiglia Ruffo di Bagnara.
L’edificio venne costruito tra il 1629 e il 1631, per volontà di Giovan Battista De Angelis, noto avvocato e notaio. Alla sua morte, sopraggiunta per una caduta da cavallo, la proprietà passò al figlio Antonio che riuscì ad entrare negli ambienti di corte grazie ai servigi che offriva al viceré Manuel de Zuñiga y Fonseca che lo nominò Eletto dal Popolo, carica che, successivamente, gli permise anche di essere nominato regio consigliere. Questo ruolo, che fu conservato anche durante i due viceregni successivi, portarono il de Angelis ad inimicarsi il popolo, visto che sue furono molte delle decisioni riguardanti l’aumento delle tasse. Per questo motivo, durante la rivolta di Masaniello (1647), l’edificio venne saccheggiato e dato alle fiamme. In seguito, nel 1647, il palazzo venne ereditato dai figli di Antonio e venduto al duca di Bagnara, Francesco Ruffo. Quest’ultimo era capitano dell’Armata Navale Gerosolimitana che, durante le sue missioni aveva messo da parte una buona quantità di preziosi che decise di investire acquistando e ristrutturando il palazzo.
I lavori, effettuati nel 1660, vennero affidati all’architetto Carlo Fontana, allievo del Bernini, che si preoccupò di rifare la facciata. Infatti, sopra un basamento di pietre bugnate, realizzò due piani di ordine ionico e un attico, con mattoni e colonne e cornici in piperno. Il portale, invece,realizzato in granito, fu realizzato con un grande arco sorretto da lesene rettangolari bugnate, che terminano con capitelli ionici. Qui vi è una mensola con tre leoni posti a sorreggere il balcone del piano nobile, a sua volta incorniciato tra lesene e sovrastato da un timpano semicircolare con un mascherone al centro.
Lo stabile passò di proprietà tra gli eredi della famiglia fino ad arrivare a Vincenzo Ruffo che, nel 1842, affidò all’architetto Vincenzo Salomone per abbellire l’edificio secondo i canoni barocchi del tempo. All’esterno vennero rifatte solo le ringhiere, mentre all’interno dotò il palazzo di una sfarzosa sala da pranzo ricca di cristallo, mentre realizzò un altro salone venne decorato con un soffitto in stucco e una terrazza coperta, nella quale vennero collocate delle statue allegoriche realizzate da Carlo Finelli, da Pietro Tenerani da Pierre-Théodore Bienaimé e da Lorenzo Bartolini.
In seguito, l’edificio passò a Vincenzo Ruffo che donò tutte le collezioni di quadri, mobili e preziosi allo stato, tutte conservate nel Museo di San Martino. Poi, la proprietà fu di Giuseppe Gironda, principe di Canneto.
All’inizio del XIX secolo, Vincenzo Salomone effettuò alcuni restauri e, successivamente, il palazzo fu abitato dal marchese Basilio Puti che vi fondò una scuola, con l’obiettivo di formare i cosiddetti “puristi”, ovvero letterati che durante il romanticismo cercavano di diffondere la lingua toscana classica, con il secondario obiettivo di raggiungere un’unità nazionale, per lo meno linguistica.
A questo istituto, successivamente si aggiunse anche quello di Architettura civile delle Arti del disegno che rimase in questa sede fino al trasferimento in Palazzo San Giacomo.
Successivamente, il palazzo fu diviso in varie proprietà e venduto a diversi privati. Infine, ricordiamo che alla sinistra dell’ingresso si trova la porta dalla quale si può accedere alla piccola cappella privata della famiglia Ruffo di Bagnara.
Tratto da: Aurelio De Rose, I palazzi di Napoli, Roma, Newton & Compton, 2001
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