Duomo di Napoli – Basilica di Santa Restituta
Basilica è raggiungibile dalla navata di sinistra, attraverso una porta che, di
fatto, rappresenta effettivamente la terza cappella del Duomo.
In origine, questa cappella, era una basilica indipendente di origine
paleocristiana, accorpata alla cattedrale in un secondo momento, e fu fondata da
Costantino I nel IV secolo d.C. Purtroppo, nel corso dei secoli, restauri e
rimaneggiamenti ne hanno alterato l’aspetto iniziale. Era composta da cinque 5
navate e, probabilmente, da 5 ingressi, uno per navata. Due di essi, però,
furono murati in seguito a lavori di rafforzamento resi necessari dal terremoto
del 1456 e, le corrispondenti navate, riadattate in cappelle. Inoltre, era molto
più lunga di quello che si può vedere oggi e si estendeva fino alla larghezza
della navata centrale in epoca angioina; anche in questo, però, la struttura fu
in parte demolita per lasciar spazio alla nuova costruzione medievale.
Nel 1692, la basilica, dopo vari restauri dovuti ai danni provocati dal
terremoto, la basilica fu riaperta. Un'altra modifica alla struttura originaria
si ebbe nel 1742 ad opera del cardinale Spinelli che murò i due rimanenti
ingressi laterali e sistemò nella navata sinistra i monumenti funerari dedicati
ad Alfonso Carafa e Alfonso Gesualdo.
Da questa cappella è possibile accedere al Battistero di San Giovanni in Fonte,
risalente anch’esso al IV secolo, ritenuto il più antico d’occidente.
questa parte della basilica non è com’era in origine. Una modifica sostanziale
fu effettuata da Arcangelo Guglielmelli, durante il restauro resosi necessario a
seguito del terremoto del 1688; questi lo trasformò nell’attuale stile barocco,
ricoprendo la capriata con un soffitto a tavolato decorato da pitture su tela e
su carta. Al centro, fu sistemato un dipinto attribuito a Luca Giordano
raffigurante Santa Restituta che raggiunge l’isola di Ischia in barca, guidata
da un gruppo di angeli.
Il coro, che inizialmente sorgeva al centro della navata maggiore, e l’altare
furono portati nel presbiterio nel XVI secolo.
L’arco trionfale paleocristiano a tutto sesto, che poggia su due antiche colonne
corinzie, fu coperto da Antonio Disegna con un drappo scenografico in stucco,
sorretto da angeli. Nicola Vaccaro, invece, vi dipinse il Salvatore in gloria
con scene raffiguranti l’Apocalisse.
Nell’abside, invece, rimase l’immagine del Salvatore tra gli angeli, risalente
al 1592, che copriva affreschi del duecento. Al centro, invece, troviamo una
tavola con Madonna i trono, tra San Michele e Santa Restituta, opera risalente
al Quattrocento e attribuibile o a Andrea Sabatini o a Stefano Sparano.
L’altare barocco, in cui furono poste le reliquie della Santa e del Vescovo San
Giovanni IV lo Scriba, fu modificato nel 1949; in questa occasione, fu lasciate
a vista l’antica mensa sorretta da grifi trapezofori. Quelli rivolti
all’assemblea sono antichi e di origine pagana, mentre quelli sul retro sono più
recenti e costruiti identici ai precedenti per dare simmetria all’opera. Il
Tabernacolo, invece, risale al 500 ed è opera di Tommaso Malvito.
corinzio, di misura e disegno diverso, sovrapposti a rozzi pulvini,
probabilmente recuperati dall’antico tempio di Apollo che doveva sorgere
nell’area prima della costruzione voluta da Costantino. Gli archi a sesto acuto
risalgono al trecento, così come l’innalzamento del pavimento voluto da
Arcangelo Guglielmelli che causò la copertura delle basi originarie delle
colonne. Quest’ultimo si occupò anche di realizzare il gioco di prospettive a
colonne della cantoria sulla controfacciata.
Lungo la navata principale si trovano 18 tondi raffiguranti la Madonna, Gesù e
alcuni santi, donati nel 1734 da Fortunato Mauro, Tra i finestroni, invece,
trovano posto 16 tele commissionate a Santolo Cirillo da Gennaro Maiello.
Numerose sono anche le sepolture: sul pavimento troviamo molte lapidi di varie
epoche, tra cui spiccano quelle dei canonici della cattedrale, riprodotti in un
bassorilievo in marmo del 1475; sulle pareti, invece, vicino all’ingresso, vi
sono numerosi monumenti funebri dedicati a personaggi illustri.
Vaccaro sul quale originariamente era posta una statua di San Gennaro, ora
spostata nell’ultima cappella della navata sinistra della Cattedrale. Anche lo
stesso altare ha subito una traslazione visto che, quando fu costruito e donato
dai Borboni nel 1737, era stato posto nel Succorpo e, solo nel 1887, sistemato
nella Basilica di Santa Restituta.
Nella navata di sinistra, la prima cappella è dedicata a San Nicola ed era di
patronato della famiglia De Gennaro. In essa troviamo i busti del vescovo Matteo
De Gennaro e di Marc’Antonio De Gennaro, mentre sul pavimento la pietra tombale
risalente al 1654 posta da Matteo De Gennaro. L’altare presenta una mensa di
forma ovale, sorretta da una coppia di leoncini in marmo.
La seconda cappella, invece, è dedicata a Sant’Elena ed era patronato della
famiglia Polverino. In essa possiamo trovare un San Francesco da Paola e un
Tradimento di Giuda. La terza, invece, non è dedicata ad un santo particolare ed
era di patronato della famiglia De Rossi della quale troviamo la sepoltura di
famiglia. Sull’altare un’Assunzione della Vergine risalente al Seicento.
In seguito troviamo la Cappella di Sant’Aspreno nella quale sono posti i
monumenti funebri di Carlo Maiello e Giuseppe Maria Pulci. Sull’altare è
sistemata una Predicazione di San Pietro a Napoli, opera di Santolo Cirillo,
mentre sulla destra un quadro raffigurante San Nicola.
presente nella zona dell’abside risale al 1322, opera di Lello da Orvieto che
raffigura la Madonna seduta in trono con in grembo il Bambin Gesù. Accanto alla
Madre di Dio sono raffigurati San Gennaro e Santa Restituta, mentre in alto, lo
Spirito Santo sotto forma di colomba. E’ possibile che, in origine, al posto del
mosaico ci fosse un affresco che rappresentava più o meno la stessa scena.
Sotto l’altare, sono conserva le reliquie di Santa Restituta e di San Giovanni
IV lo Scriba. La prima è venerata a Napoli e ad Ischia; originaria forse di
Cartagine, morì di martirio nel 304. La leggenda vuole che la Santa, condannata
ad essere bruciata viva in una barca piena di pesce, fu confortata da una
visione angelica e che la vendetta divina colpì i suoi carnefici. La barca fu
spinta verso la spiaggia di Ischia dove Santa Restituta trovò una degna
sepoltura. San Giovanni IV lo Scriba, invece, fu vescovo di Napoli tra l’842 e
l’849 e si curò di far trasportare nella Basilica i resti dei suoi predecessori
sepolti nelle catacombe di Capodimonte.
Ai piedi dell’altare troviamo altri monumenti funerari o epigrafici
commemorative dedicati a vari canonici come Giuseppe Vinaccia, Giuseppe Pelella,
Giacomo Cangiano, Pietro Marco Gizzio e Francesco Verde.
Ai lati della cappella troviamo due plutei marmorei riutilizzati come lastre
pavimentali e posti alle pareti. Ogni lastra è divisa in 15 riquadri e
rappresentano l’affermarsi dello stile romanico a Napoli. Risalgono entrambe al
XIII secolo e nella lastra di sinistra è rappresentata la storia di Giuseppe
venduto dai fratelli, mentre in quella di destra immagini di San Gennaro,
Sansone e altri santi. Alle due lastre sono collegate due semicolonne con
capitelli, poste nella sagrestia, che sorreggono un lavamano.
Già sull'altare della prima, troviamo il Martirio di San Giovanni Battisto,
opera di un autore anonimo.
La seconda cappella, detta dei Ricciardi o del Crocefisso, riale al XII sexolo e
ospita armadi contenenti numerose reliqui, mentre sul pavimento è posta
l'insegna di famiglia del 1603.
Di seguito, è collocata la cappella della famiglia Piscicelli alle cui pareti
troviamo tre diversi dipinti su tavola, tutti provenienti dalla cappella Galeota
del transetto del Duomo: il Salvatore (1484) al centro, San Gennaro e
Sant'Atanasio di lato.
La quarta cappella è giuspatronato della famiglia Caracciolo Guidazzi; in essa
troviamo l'altare, dedicato alla Vergine dei Sette Gaudii, con al di sopra un
quadro che raffigura Sant'Anna con la Vergine e il Bambino. A sinistra, invece,
troviamo un'altra opera con la Madonna tra il Battista e San Gennaro. Infine,
sul pavimento, una lastra dedicata alla memoria di Giannone Caracciolo. La
cappella successiva dedicata alla famiglia Forma, contiene, a sinistra, epigrafi
commemorative di Giovanni e Marino Forma e dalla parte opposta iscrizioni che
documentano i vari passaggi di patronato della struttura nel corso dei secoli.
L'ultima cappella è dedicata a San Giuseppe; in essa è collocato il sepolcro del
canonico Marco Celentano, risalente al XVIII secolo, mentre sull'altare è posta
una Pietà di Hendrick Van Somer. Ai lati, invece, due quadri di Giovanni
Balducci: quello a sinistra con San Gennaro che protegge Napoli dal Vesuvio, e
quello a destra con Sant'Agnello che mette in fuga i Saraceni.
Dopo le cappelle, si trova un ampio vano che le separa dall'ingresso del
Battistero di San Giovanni in Fonte. Sulla parete è possibile vedere ancora oggi
antichi affreschi del XIV secolo che probabilmente decoravano la basilica prima
del restauro del XVII secolo. Si scorgono frammenti di quello che potrebbe
essere un Giudizio Universale di Pietro Cavallini, come una crocefissione e una
serie di apostoli e santi. Inoltre possiamo trovare la tomba del canonico
Galante, sovrastata da un medaglione di Francesco Ierace, mentre accanto
all0ingresso del battistero sono collocati i resti di una transenna del IX
secolo proveniente dalla chiesa di Santa Maria a Piazza. Di seguito troviamo la
tomba di Riccardo Piscicelli, risalente al 1300 e proveniente dall'omonima
cappella, e il sarcofago di Alfonso Piscicelli, decorato con scene di baccanali.
Al di sopra è collocato un ciborio del Quattrocento in cui è raffigurata
l'Annunciazione, opera della scuola di Tommaso Malvito. Nello stesso vani
troviamo altre epigrafi e lapidi, tra le quali spicca quella dedicata
all'arcidiacono Teofilotto, risalente al VII secolo e rinvenuta nel corso dei
lavori del 1862.
termine della navata sinistra, si può accedere ad un ampia area archeologica
nella quale sono stati ritrovati numerosi resti della città risalenti all'epoca
greco-romana e paleocristiana.
All’inizio, si trovano reperti di età greca come un muro e della pavimentazione
stradale. Il muro, alto più o meno 5 metri, si trova all’altezza della cappella
di Santa Maria in Principio e, presumibilmente, faceva parte di un edificio
pubblico (un tempio). Molto vicino si erge un altro muro, questa volta di epoca
romana, lungo circa 12 metri ornato da alcuni graffiti e da zone dipinte da
intonaco rosso. Inoltre, si possono notare anche dei resti di colonne in
laterizio che erano usate per sorreggere una grondaia per la raccolta dell’acqua
piovana.
Nella parte occidentale si trovano quattro sale interrate. Tre di esse
presentano pareti in muratura di tufo e volte a botte e vi si accedeva
attraverso una scala rinvenuta aprendo un buco nella parte occidentale. La
quarta sala presenta una muratura di tipo diverso, in coccio pesto, che in tempi
antichi veniva usato per tutte quelle stanze in cui venivano conservati degli
alimenti. Probabilmente, questo complesso è quello che rimane di una taverna,
tesi avvalorata dal fatto che, al momento della scoperta, nelle sale vi erano
frammenti di stoviglie, vetri, ostriche, ecc…).
All’esterno di Santa Restituta, verso il cortile della curia arcivescovile,
sono stati portati alla luce 12 metri di strada romana, costituita da pietre
laviche e risalente al IV o al V secolo.
Oltre la strada, un ambiente 15 x 7 metri destinato probabilmente ad un uso
religioso vista la presenza di un riquadro ben conservato con una croce greca ed
un motivo stellare. Le pareti sono intonacate con almeno due strati pittorici,
mentre la pavimentazione è formata da grandi tessere e disegni geometrici
risalenti forse al V secolo.
Inoltre, è molto probabile, che nella zona fossero presenti edifici termali
vista la grande presenza di condotti in terracotta al di sotto del livello del
pavimento a testimoniare il passaggio di acqua calda, o di tegole mammarie usate
per il riscaldamento di ambienti attraverso il vapore caldo.
In corrispondenza della Sagrestia Maggiore, troviamo un grande muro,
probabilmente di epoca medievale, usato semplicemente per rafforzare il
basamento della torre angolare del transetto. Più in là, troviamo alcuni
frammenti di pavimenti e colonne, probabilmente di epoca classica.
Verso l’uscita, troviamo un’abside del diametro di circa 4 metri, la cui
pavimentazione è ben conservata; lungo il perimetro un sedile in pietra
interrotto da un passaggio verso un altro ambiente.
In seguito, verso il cortile esterno, si trova l’ingresso del conditorium, cioè
il luogo costruito agli inizi del XIX secolo per volontà del Cardinale Luigi
Ruffo Scilla per custodirvi le sepolture degli arcivescovi di Napoli. Durante la
sua realizzazione, però, furono distrutti molti reperti archeologici che,
probabilmente, potevano appartenere al cosiddetto battistero vincenziano,
risalente al VI secolo, luogo in cui si riposava e si riuniva il clero durante
le liturgie solenni.
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