Basilica di Santa Chiara – Interno
Storia e descrizione
La
basilica si presenta ad unica navata, con soffitto a capriate, lunga 130 metri e
con dieci cappelle per lato, senza decorazioni e senza transetto. E’ alta 40
metri e larga 20. Questo aspetto fu modificato tra il 1742 e il 1762 a causa
dell’innesto di decorazioni barocche disegnate da Domenico Antonio Vaccaro,
Gaetano Buonocore e Giovanni del Gaizo. In seguito, quindi, la volta si
presentava con stucchi e affreschi si Francesco de Mura, Giuseppe Bonito,
Sebastiano Conca e Paolo de Maio. Come detto, però, tutto andò perduto durante
un bombardamento della seconda guerra mondiale: il tetto, le decorazioni, i
dipinti e molte delle poche sculture sopravvissute furono traslate in altre
locazioni. Oggi, della vecchia struttura, rimane solo il pavimento, disegnato da
Ferdinando Fuga e realizzato tra il 1761 e il 1763.
Sul fondo della navata, sono posti alcuni monumenti i monumenti funerari della
dinastia Angioina. Al centro, troviamo quello di Roberto d’Angiò, opera degli
scultori fiorentini Pacio e Giovanni Bertini: esso presenta il re seduto,
sovrastato da un’iscrizione, attribuita a Francesco Petrarca che, si dice, fosse
grande sostenitore del sovrano. Ai lati troviamo quelli del figlio Carlo e di
Maria di Valois, entrambi opera di Tino da Camaino, e, per finire, il cenotafio
di Maria di Durazzo.
Altri sepolcri sono posti lungo la controfacciata, quelli di Antonio e Onofrio
Penna, opera di Antonio Baboccio, di Agnese e Clemenza di Durazzo, sopra i quali
sono visibili i resti di alcuni dipinti del Trecento o Quattrocento. Anche le
cappelle laterali presentano numerose tombe costruite tra il XIV e VXII secolo.
Nella terza cappella i sepolcri dei Del Balzo, nella settima ciò che è rimasto
di quello di Ludovico di Durazzo, opera del Trecento di Pacio Pertini, mentre la
nona è sede ufficiale dei sepolcri dei Borboni: il più importante è quello di
Filippo, figlio di Carlo III, opera di Giuseppe Sanmartino del 1777. Nella sesta
cappella, invece, sono da ricordare due bassorilievi del Trecento che
raffigurano il Martirio della moglie di Massenzio. La prima cappella di
sinistra, invece, ospita il sepolcro di Salvo d’Acquisto.
L’altare maggiore è opera del Sanfelice, che lo terminò nel 1745. La sagrestia,
a destra del presbiterio, presenta affreschi e arredi del 1692, mentre in una
sala vicina è conservato un panno ricamato del XVII secolo. Di seguito, troviamo
altre due stanze decorate da maioliche del XVIII secolo e con affreschi di un
pittore olandese del XVI secolo; attraverso di essi si accede ad una scala che
porta al convento e, attraverso un portale gotico, al cosiddetto Coro delle
Monache.
basilica si presenta ad unica navata, con soffitto a capriate, lunga 130 metri e
con dieci cappelle per lato, senza decorazioni e senza transetto. E’ alta 40
metri e larga 20. Questo aspetto fu modificato tra il 1742 e il 1762 a causa
dell’innesto di decorazioni barocche disegnate da Domenico Antonio Vaccaro,
Gaetano Buonocore e Giovanni del Gaizo. In seguito, quindi, la volta si
presentava con stucchi e affreschi si Francesco de Mura, Giuseppe Bonito,
Sebastiano Conca e Paolo de Maio. Come detto, però, tutto andò perduto durante
un bombardamento della seconda guerra mondiale: il tetto, le decorazioni, i
dipinti e molte delle poche sculture sopravvissute furono traslate in altre
locazioni. Oggi, della vecchia struttura, rimane solo il pavimento, disegnato da
Ferdinando Fuga e realizzato tra il 1761 e il 1763.
Sul fondo della navata, sono posti alcuni monumenti i monumenti funerari della
dinastia Angioina. Al centro, troviamo quello di Roberto d’Angiò, opera degli
scultori fiorentini Pacio e Giovanni Bertini: esso presenta il re seduto,
sovrastato da un’iscrizione, attribuita a Francesco Petrarca che, si dice, fosse
grande sostenitore del sovrano. Ai lati troviamo quelli del figlio Carlo e di
Maria di Valois, entrambi opera di Tino da Camaino, e, per finire, il cenotafio
di Maria di Durazzo.
Altri sepolcri sono posti lungo la controfacciata, quelli di Antonio e Onofrio
Penna, opera di Antonio Baboccio, di Agnese e Clemenza di Durazzo, sopra i quali
sono visibili i resti di alcuni dipinti del Trecento o Quattrocento. Anche le
cappelle laterali presentano numerose tombe costruite tra il XIV e VXII secolo.
Nella terza cappella i sepolcri dei Del Balzo, nella settima ciò che è rimasto
di quello di Ludovico di Durazzo, opera del Trecento di Pacio Pertini, mentre la
nona è sede ufficiale dei sepolcri dei Borboni: il più importante è quello di
Filippo, figlio di Carlo III, opera di Giuseppe Sanmartino del 1777. Nella sesta
cappella, invece, sono da ricordare due bassorilievi del Trecento che
raffigurano il Martirio della moglie di Massenzio. La prima cappella di
sinistra, invece, ospita il sepolcro di Salvo d’Acquisto.
L’altare maggiore è opera del Sanfelice, che lo terminò nel 1745. La sagrestia,
a destra del presbiterio, presenta affreschi e arredi del 1692, mentre in una
sala vicina è conservato un panno ricamato del XVII secolo. Di seguito, troviamo
altre due stanze decorate da maioliche del XVIII secolo e con affreschi di un
pittore olandese del XVI secolo; attraverso di essi si accede ad una scala che
porta al convento e, attraverso un portale gotico, al cosiddetto Coro delle
Monache.
Il Coro delle Monache
La struttura è opera di Leonardo di Vito che, probabilmente, volle creare una
piccola chiesa autonoma. In essa è conservata la tomba ad arcosolio di Roberto
d’Angiò. Alle pareti, invece, sono presenti resti di affreschi rinascimentali e
di Giotto che, un tempo, ricoprivano tutta la superficie. In particolare, sulla
parete di fondo, si può ammirare il Redentore fra Santi Francescani, Roberto,
Sancia, Carlo di Calabria e Giovanna, opera di Lello da Orvieto che lo dipinse
nel 1340.
piccola chiesa autonoma. In essa è conservata la tomba ad arcosolio di Roberto
d’Angiò. Alle pareti, invece, sono presenti resti di affreschi rinascimentali e
di Giotto che, un tempo, ricoprivano tutta la superficie. In particolare, sulla
parete di fondo, si può ammirare il Redentore fra Santi Francescani, Roberto,
Sancia, Carlo di Calabria e Giovanna, opera di Lello da Orvieto che lo dipinse
nel 1340.
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