Certosa di San Martino – Chiesa

Esterno
esterno certosa di san martinoNel piazzale, troviamo la “chiesa delle donne”, opera di Giovanni Antonio Dosio, così chiamata perché un tempo l’accesso al resto della struttura era riservato ai soli uomini. All’interno, troviamo stucchi e decorazioni del XVII secolo. Alla sua destra si trova l’ingresso alla certosa, attraverso il quale si arriva al cortile d’onore, opera anch’esso del Dosio. Sulla sinistra, troviamo la chiesa trecentesca.
Il pronao
Il pronao, realizzato in tufo e in piperno tra il 1325 e il 1368, venne rimaneggiato da Giovanni Antonio Dosio, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, e, successivamente, anche dall’architetto Cosimo Fanzago (attivo nella certosa tra il 1623 e il 1656), che conferì alla struttura in suo aspetto definitivo aggiungendo sulla facciata i paramenti in bardiglio grigio e marmo bianco. La cancellata in ferro battuto è anch’esso del XVII secolo.
Al suo interno, il pronao è decorato da numerosi affreschi: sulla parete di fondo, in alto al centro, troviamo il dipinto raffigurante Due angeli che reggono lo stemma cerosino, attribuito alla scuola di Giuseppe Cesari (detto il Cavalier d’Arpino). A sinistra, troviamo Carlo l’Illustre che offre la chiesa al Vescovo San Martino, opera di Giovanni Baglione datata 1591-1592, e, a destra, di Belisario Corenzio, La regina Giovanna I offre la custodia della chiesa a San Bruno. Sempre del Corenzio troviamo, in basso a sinistra l’affresco raffigurante Bruno di Colonia che vede miracolosamente Raimondo Diocres condannato all’Inferno e, a destra, Il sogno di Sant’Ugo e lo stesso che indica il luogo detto Cartusia, tutte opere del 1632.
Alle pareti laterali, invece, affreschi di Domenico Gargiulo, detto Micco Spadaro, realizzati tra il 1651 e il 1656 e raffiguranti le persecuzioni ai danni dei certosini in Inghilterra: a sinistra, in alto, Storie di martiri certosini e, in basso, Distruzione di una Certosa in Inghilterra; a destra, invece, Storie di supplizi inflitti ai Certosini d’Inghilterra da re Enrico VIII Tudor.
L’accesso alla chiesa avviene dopo aver superato il portone d’ingresso, in legno intagliato con le figure di alcuni Santi Certosini (come San Bruno e Sant’ugo), sormontato da un timpano spezzato con al centro il busto di Papa Pio V (o di San Martino), opera di un ignoto artista napoletano del XVI secolo.
L'interno
interno certosa di san martinoA costruzione ultimata, nel 1368, l’interno si presentava spoglio e privo di decorazioni, con navata unica e 8 cappelle laterali (quattro per lato), coperto dalla volta a crociera visibile ancora oggi. Le modifiche radicali alla struttura cominciarono a metà del XVI secolo, per volontà dal priore Severo Turboli che affidò i lavori all’architetto Giovanni Antonio Dosio. La maggiorparte delle decorazioni, però, venne aggiunta da Cosimo Fanzago nel secolo successivo che, oltre alle già citate modifiche alla facciata del pronao, aggiunse marmi policromi, le transenne delle cappelle, dei festoni sui pilastri e dei putti in marmo sulle arcate delle cappelle, senza dimenticare il pavimento, ultimato poi da Bonaventura Presti che riutilizzò alcuni marmi intarsiati proprio dello stesso Fanzago. Sempre di quest’ultimo sono le due statue all’ingresso che, però, vennero terminate da Alessandro Rondone.
Sulla controfacciata spicca la tela di Massimo Stanzione raffigurante la Pietà (1638), i cui lati troviamo i ritratti di Mosè ed Elia, tra cornici in marmo di Cosimo Fanzago, opera Jusepe de Ribera.
La volta, invece, presenta un ciclo pittorico di Giovanni Lanfranco, realizzato tra il 1637 e il 1639, dove sono raffigurati L’Ascenscione di Cristo con Angeli e Beati e, negli spicchi dei finestroni, gli Apostoli. Sulle arcate delle cappelle, invece, troviamo i 12 Profeti, ancora di Jusepe de Ribera.
Le cappelle di destra
La prima cappella è dedicata a Cappella di San Ugo. In essa sono conservati dipinti di Massimo Stanzione (la Madonna col Bambino tra i Santi Ugo e Anselmo, 1644) e Andrea Vaccaro (Sant’Ugo resuscita un bambino morto, 1652, e Ricostruzione dell’Abazia di Licoln, 1652), a cui si aggiungono gli affreschi di Belisario Corenzio raffiguranti Storie della Vita di Sant’Ugo (1632), nella volta e nelle lunette. Le sculture sono tutte di Matteo Bottigliero, datete 1725 circa: La Beata Margherita di Digione, La Beata Rossellina di Villanova, Il Beato Nicola Albergati, San Bruno, Putti e Cherubini. La decorazione marmorea, infine, è opera di Jacopo Lazzari e Felice de Felice, realizzata tra il 1617 e il 1722. A destra si entra nella cappella del Rosario, decorata da Domenico Antonio Vaccaro, in cui è conservata anche una tela di Battistello Caracciolo.
La seconda cappella è dedicata a San Giovanni Battista. In essa sono conservati dipinti di Carlo Maratta (Battesimo di Cristo, 1710), Paolo De Matteis (Cristo addita San Giovanni Battista ai suoi discepoli, 1708, e San Giovanni Battista predica nel deserto, 1708) e Massimo Stanzione (Salomè che offre la testa del Battista a Erode, 1642-44, e Decollazione del Battista (1642-44), a cui si aggiungono gli affreschi dello stesso Stanzione raffiguranti San Giovanni Battista liberato dal Limbo e portato in gloria da Cristo (1642-44), nella scodella, e le Virtù Cardinali (1642-44), nei pennacchi della cupola. Le sculture, raffiguranti L’Eloquenza e La Fama Buona, sono state concepite e iniziate da Lorenzo Vaccaro, per poi essere terminate dal figlio Domenico Antonio (1706-08); la descorazione marmorea venne realizzata da Cosimo Fanzago nel 1631 e il pavimento da Lorenzo Vaccaro tra il 1704 e il 1705.
La terza cappella è dedicata a San Martino. In essa sono conservati dipinti di Giovanni Battistello Caracciolo (San Martino e Angeli, 1625?) e Francesco Solimena (San Martino che divide il mantello con il povero, 1732-33, e Cristo appare in sogno a San Martino (1732-33), a cui si aggiungono gli affreschi del 1631 di Paolo Domenico Finoglio raffiguranti Storie della vita e dei miracoli di San Martino (scodella), i Funerali di San Martino (lunetta) e San Martino che appare all’imperatore Valentiniano (lunetta). Le sculture sono tutte di Giuseppe Sanmartino (1757), con putti e cheruvini e le statue che rappresentano La Carità, La Forezza. La decorazione marmorea, invece, è frutto del lavoro di Salvatore Ferraro e Nicola Botti (1818-22), mentre una ristrutturazione architettonica venne realizzata nel 1756 dall’opera congiunta di Nicola Tagliacozzi Canale e Giuseppe Sanmartino.
Le cappelle di sinistra
La prima cappella è dedicata a San Gennaro. In essa sono custoditi dipinti di Battistello Caracciolo (Martirio di San Gennaro, 1632, e Decollazione di San Gennaro, 1632) e, sulla volta, gli affreschi dello stesso artista raffiguranti San Gennaro in gloria con i Santi Vescovi di Napoli e Storie della vita del Santo (1632). Le sculture sono tutte di Domenico Antonio Vaccaro, datate intorno al 1710: oltre ai medaglioni con i quatro Evangelisti, troviamo La Vergine e la Trinità che consegnano le chiavi della città a San Gennaro, La Fede e Il Martirio. Gli stucchi sono di Cosimo Fanzago (1632), mentre i marmi commessi che ne compongono la decorazione risalgono ai primi del Seicento (1620), opera di maestri marmorari toscani della scuola di Giovanni Antonio Dosio e Giovan Giacomo Conforto. A destra è possibile accedere alla Cappella di San Giuseppe, le cui decorazioni sono sempre opera di Domenico Vaccaro.
La seconda cappella è dedicata a San Bruno. In essa troviamo i dipinti di Massimo Stanzione (1633-37), raffiguranti San Bruno che dà la regola ai suoi seguaci, Il Conte Ruggiero davanti a San Bruno e L’apparizione della Vergine e di San Pietro ai certosini di Grenoble, e gli affreschi, sempre dello Stanzione (1633-37) in cui sono rappresentati San Bruno portato in cielo dagli angeli (scodella), Il Conte Ruggiero durante l’assedio di Capua (lunetta) e La guarigione dei malati alla fonte miracolosa (lunetta). Le sculturee sono di Domenico Antonio Vaccato che, tra il 1705 e il 1708) scolpì La Penitenza e La Solitudine). La decorazione marmorea, infine, è di Cosimo Fanzago (1631-56).
La terza cappella è dedicata all’Assunta. In essa sono consevati dipinti di Francesco De Mura (L’Annunciazione, 1751 ca, La Visitazione, 1757 ca, e la Madonna Assunta, 1757 ca) e gli affreschi di Battistello Caracciolo (1622-31) raffiguranti Storie della Vita della Vergine (volta), La Natività (lunetta) e La Presentazione al Tempio (lunetta). Le sculture, risalenti al 1757 ca, sono di Giuseppe Sanmartino e rappresentano La Verginità e La Ricompensa. La decorazione marmorea, del 1620, è opera di maestri marmorari toscani della scuola di Giovanni Antonio Dosio e Giovan Giacomo Conforto, mentre una ristrutturazione architettonica venne realizzata nel 1757 dall’intervento congiunto di Nicola Tagliacozzi Canale e Giuseppe Sanmartino. A destra troviamo l’accesso alla Cappella di San Nicola, decorata da affreschi di Belisario Corenzio e da una tela di Pacecco De Rosa.
Il presbiterio e l'abside
altareL’altare maggiore (1705 circa), in legno dorato e laccato, è stato realizzato su disegno di Francesco Solimena e Giacomo Colombo, quest’ultimo autore dei putti ai lati del paliotto (XVIII secolo); di Giuseppe Sanmartino, invece, sono gli angeli (1768). Di fronte ad esso troviamo la balaustra in pietre dure progettata da Nicola Tagliacozzi Canale e da Giuseppe Sanmartino, realizzata nel 1762 da Filippo Beliazzo.
Il pavimento dell’abside è in marmo, opera di Cosimo Fanzago, mentre il coro ligneo è risale al 1629. Lungo la parete di fondo sono posizionate statue di Giovanni Battista Caccini e Pietro Bernini, con una “Natività” di Guido Reni.
Nella volta, invece, Scene del Vecchio e del Nuovo Testamento di Giulio Cesari e Giovan Bernardino Azzolino. Sulla parete destra, invece, troviamo affreschi Massimo Stanzione (l’Ultima Cena, 1639) e Carletto Caliari, mentre su quella di sinistra gli affreschi sono stati realizzati da Battistello Caracciolo (La Lavanda dei Piedi, 1622) e Jusepe de Ribera (Comunione degli Apostoli, 1651). Sulla volta, infine, troviamo dipinti di Giovanni Lanfranco e Giuseppe Cesari, detto Cavalier d’Arpino.
La sala capitolare
La sala capitolare conserva i dipinti di Paolo Domenico Finoglio (La Circoncisione, 1626), Simon Vouet (Visione di San Bruno, 1625 ca), Battistello Caracciolo (San Giovanni Battista, 1626?, San Martino Vescovo, 1626, e Adorazione dei Magi, 1626), Massimo Stanzione (Adorazione dei Pastori, 1626) e Francesco De Mura (Disputa di Gesù nel Tempio, 1739). Gli affreschi della volta, raffiguranti scene di parabole evangeliche e Viertù certosine sono opera di Belisario Corenzio (1624), mentre gli stalli lignei che occupano l’ambiente sono di Orazio Orio e Carlo Bruschetta (1627).
Inoltre, è da sottolineare il lavoro di Paolo Finoglio che, tra il 1625 e il 1626, in questa sala realizzò dieci dipinti per le lunette in cui riprodusse le immagini dei santi fondatori e degli ispiratori dei più importanti ordini religiosi: partendo da sinistra, troviamo San Domenico (Domenicani), San Berardo (Cistercensi), San Bruno (Certosini), Sant’Agostino (Agostiniani), Elia (a cui si ispirano i Carmelitani), San Benedetto (Benedettini), San Basilio (Basiliani), San Romualdo (Camaldesi), San Francesco di Paola (Minimi) e San Francesco d’Assisi (Francescani).
Il coro dei conversi
L’ambiente, destinato ai fratelli che non celebravano le funzioni religiose, conserva ventisei antichi stalli lignei eseguiti da Giovan Francesco d’Arezzo intorno al 1520 per il Coro dei Padi, poi traferiti nella sede attuale all’inizio del XVII secolo. Gli stalli lignei sono decorati con intarsi raffiguranti i Santi Ugo, Giovanni Battista, Bruno e Girolamo, Prospettive e Nature morte.
Gli affreschi sono di Domenico Gargiulo, detto Micco Spadaro, che, tra il 1638 e il 1642 rappresentò episodi tratti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento.
Il lavamano di marmo bianco e bardiglio è opera di Cosimo Fanzago (1631), mentre sull’altare maggiore, il cui paliotto seicentesco è esposto nel Quarto del Priore, è posta la tela di Cesare Fracanzano raffigurante San Michele Arcangelo (1635 ca)
Il parlatorio
Questo ambiente, l’ultimo prima di accedere al Chiostro Grande, veniva utilizzato per i pochi momenti di vita comunitaria dei frati certosini.
Gli affesci sulla volta sono opera di Avanzino Nucci (1596) che raggigurò, al centro, La Discesa dello Spirito Santo e, ai lati, episodi evangelici, come la Pesca Miracolosa, la Resurrezione e l’Incredulità di San Tommaso, e figure di Profeti.
Alle pareti, come nell’attigua Sala Capitolare, sono presenti degli scanni ligneri, attribuiti ai maestri intagliatori Orazio de Orio e Carlo Bruschetta. Al di sopra, affresschi raffiguranti episodi della vita di San Bruno e, nei quattro angoli, i Santi Priori dell’Ordine certosino.
La Cappella della Maddalena
L’ambiente venne probabilmente progettato dall’architetto Nicola Tagliacozzi Canale, mentre tutte le decorazoni e gli affreschi e gli arredi vennero realizzati da Giovan Battista Natali nella prima metà del XVII secolo. Sull’altare è posto una tela raffigurante la Maddalena, una delle più felici opere della produzione di Andrea Vaccaro, datata 1636. La porta lignea è opera Cosimo Fanzago.
La sagrestia
La sagrestia presenta affreschi di Massimo Stanzione e Viviano Codazzi, autori dell’Ecce Homo (1644) e di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, autore tra il 1596 e il 1597 di Storie della Passione di Cristo, Virtù, Putti con simboli della Passione di Cristo, Storie del Vecchio Testamento, Allegorie delle Virtà e Personaggi delle Sacre Scritture. Alle pareti sono collocati dipinti su tela di Giuseppe Cesari (Crociffissione, 1592-93, incorniciata da un colonnato dipinto da Viviano Codazzi su disegno di Cosimo Fanzago), Lazzaro Tavarone (Profeti e Sibille e Storie della passione, 1594) e la “Negazione di San Pietro”, ignoto caravaggesco. Gli armadi in noce, rivestiti da tarsie lignee con Storie della Sacra Scrittura e dell’Apocalisse, vennero realizzati da artisti fiamminghi e napoletani (Nunzio Ferraro, Giovanni Battista Vigilante, Enrico di Utrecht e Teodoro de Vogel) tra il 1587 e il 1600.
Il Passetto e la Cappella del Tesoro Vecchio
Tra la sagrestia e la Cappella del Tesoro troviamo due ambienti. Il primo, detto Passetto, presenta affreschi di Massimo Stazione (Storie dell’Antico Testamento, Evangelisti, Storie di Cristo, 1644) e di Paolo De Matteis (Angeli reggisimboli, seconda metà del XVII secolo). Inoltre, qui sono conservati i dipinti di Andrea Malinconico (Uscita del popolo Ebreo dall’Egitto) e di Luca Giordano (Vocazione di Matteo (1653-60) e un lavabo della prima metà del XVII secolo.
Nella successiva Cappella del Tesoro Vecchio sono conservati gli affreschi di Domenico Gargiulo, detto Micco Spadaro (Caduta della Manna, Mosè con le Tavole della Legge, 1640) e di Viviano Codazzi (Decorazioni prospettiche).
La Cappella del Tesoro
L’ambiente, il cui progetto è attribuito al monaco Bonaventura Presti, risale al periodo tra gli anni 70 e 80 del Seicento, momento in cui la Vecchia Sala del Tesoro cominciò ad essere inadeguata nelle dimensioni.
Gli affreschi vennero affidati a Luca Giordano, che, nel 1704 realizzò il Trionfo di Giuditta (scodella centrale), le figure delle eroine del Vecchio Testamento Termutide, Debora, Seila e Giaele (ai quattro lati), l’Adorazione del Serpente di Bronzo (catino absidale), cinque scene raffiguranti la Caduta della Manna, Mosè che fa scaturire le acque, la Fornace di Nabucodonosor, Abramo e Isacco che salgolo il Monte e il Sacrificio di Aronne (lunette laterali) e, infine, figure allegoriche e putti (nei sottarchi).
L’altare maggiore, realizzato nel 1610 in lapislazzuli, ametista e corniola dal fiorentino Giovanni Selino, è sormontato da una tela di Jusepe de Ribera raffigurante la Pietò (1637). Ai lati si aprono delle nicchi in cui sono conservati i reliquiari in abano e ramo dorato realizzati nel 1691 da Gennaro Monte.
Arredano l’ambiente armadi lignei nei quali erano conservati i tesori della chiesa, confiscati e fusi da Ferdinando IV nel 1794 come “contributo” alle spese per difendere la città dagli attacchi francesi.
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