Storia del Regno di Napoli – L’insurrezione del 1585
Le basi della rivolta
I primi segni della formazione di correnti
politiche popolari si incontrano a Napoli negli ultimi due decenni del
Cinquecento. Questi sfociano in proteste della fame e suggestioni della
rivoluzione fiamminga, ansie religiose, banditismo, attese messianiche, fremiti
libertini e altri fenomeni. Quel che li accomuna è una volontà di rifiuto
radicale, di eversione; è l'estremismo, segno di impotenza degli oppressi. Molto
spesso queste rivolte non incidono sulla struttura politica dello stato anche se
si avverte un'incrinatura nell'egemonia dell'aristocrazia poiché i protagonisti
non sono più soltanto la monarchia e il baronaggio, ma anche il popolo grazie
alle nuove filosofie umaniste, diventa centro culturale del Regno. I momenti di
più aperto contrasto erano stati, prima del 1585, i tumulti del 1510 e del 1547.
Essi furono causate dai tentativi di introdurre a Napoli l'inquisizione spagnola
mossi esclusivamente dal popolo e dall'aristocrazia. La rivolta del 1585 rivelò
invece la disposizione alcuni gruppi di borghesia cittadina ad inserirsi nella
crisi con proprie autonome rivendicazioni. La causa immediata della rivolta fu
la decisione degli Eletti di aumentare il prezzo del pane nella capitale. Poco
tempo prima la stessa assemblea aveva autorizzato l'esportazione di oltre 400
tomoli di grano in Spagna. Questo provvedimento non era nuovo, ma cadeva in un
momento in cui l'equilibrio sociale sembrava seriamente minacciato, dopo una
lunga fase, iniziata nel 1520 in tutta l'Europa mediterranea, di divergenza tra
l'andamento dei prezzi e quello della retribuzioni, di costante depressione, dei
salari reali. La flessione dei redditi di lavoro non era un fenomeno
circoscritto, ma l'aspetto più determinato di un processo che investiva tutta la
struttura della società e che aveva la radice principale nello squilibrio tra il
ritmo di incremento produttivo e l'andamento dello sviluppo demografico. Causa
della protesta era la continua immigrazione dalle campagne ed il distacco via
via più netto tra la rappresentanza popolare nel governo cittadino e gli strati
piccolo-borghesi. Alla fine del Cinquecento, la rappresentanza popolare a Napoli
era ormai nulla e saldamente nelle mani della borghesia privilegiata, visto che,
come detto prima, Toledo aveva deciso che il rappresentante del popolo doveva
essere eletto dal viceré stesso. Ciò ridusse ulteriormente la partecipazione
della plebe alla vita politica e favorì l'assimilazione della borghesia alla
nobiltà. Infatti, la rivolta del 1585 ebbe il suo culmine il 19 maggio con il
linciaggio del rappresentante popolare. La rivolta rivelò la capacità
organizzativa dei ceti più bassi. Due mesi dopo giunse in città un esercito
comandato da Toledo che diede il via ad una vasta azione repressiva, segno che
la Spagna aveva timore delle idee politiche che si stavano diffondendo nella
cultura e nell'azione popolare. Nel 1586 fu rasa al suolo la casa del presunto
capo della rivolta, un "naturalista" che si chiamava Pisano, ed al suo posto fu
eretto un monumento nel quale furono messe le teste e le mani di tutti i
condannati a morte per i tumulti. Comunque sia, il "mal governo" c'era sempre
stato, ma il popolo non aveva mai avuto il coraggio di protestare. In questo
periodo, però la Spagna, con la sconfitta l'Invincibile Armata ad opera degli
inglesi nel 1588 e con l'uccisione di Enrico III nel 1589, sembrava essere
entrata in una fase di declino e, quindi era più vulnerabile.
politiche popolari si incontrano a Napoli negli ultimi due decenni del
Cinquecento. Questi sfociano in proteste della fame e suggestioni della
rivoluzione fiamminga, ansie religiose, banditismo, attese messianiche, fremiti
libertini e altri fenomeni. Quel che li accomuna è una volontà di rifiuto
radicale, di eversione; è l'estremismo, segno di impotenza degli oppressi. Molto
spesso queste rivolte non incidono sulla struttura politica dello stato anche se
si avverte un'incrinatura nell'egemonia dell'aristocrazia poiché i protagonisti
non sono più soltanto la monarchia e il baronaggio, ma anche il popolo grazie
alle nuove filosofie umaniste, diventa centro culturale del Regno. I momenti di
più aperto contrasto erano stati, prima del 1585, i tumulti del 1510 e del 1547.
Essi furono causate dai tentativi di introdurre a Napoli l'inquisizione spagnola
mossi esclusivamente dal popolo e dall'aristocrazia. La rivolta del 1585 rivelò
invece la disposizione alcuni gruppi di borghesia cittadina ad inserirsi nella
crisi con proprie autonome rivendicazioni. La causa immediata della rivolta fu
la decisione degli Eletti di aumentare il prezzo del pane nella capitale. Poco
tempo prima la stessa assemblea aveva autorizzato l'esportazione di oltre 400
tomoli di grano in Spagna. Questo provvedimento non era nuovo, ma cadeva in un
momento in cui l'equilibrio sociale sembrava seriamente minacciato, dopo una
lunga fase, iniziata nel 1520 in tutta l'Europa mediterranea, di divergenza tra
l'andamento dei prezzi e quello della retribuzioni, di costante depressione, dei
salari reali. La flessione dei redditi di lavoro non era un fenomeno
circoscritto, ma l'aspetto più determinato di un processo che investiva tutta la
struttura della società e che aveva la radice principale nello squilibrio tra il
ritmo di incremento produttivo e l'andamento dello sviluppo demografico. Causa
della protesta era la continua immigrazione dalle campagne ed il distacco via
via più netto tra la rappresentanza popolare nel governo cittadino e gli strati
piccolo-borghesi. Alla fine del Cinquecento, la rappresentanza popolare a Napoli
era ormai nulla e saldamente nelle mani della borghesia privilegiata, visto che,
come detto prima, Toledo aveva deciso che il rappresentante del popolo doveva
essere eletto dal viceré stesso. Ciò ridusse ulteriormente la partecipazione
della plebe alla vita politica e favorì l'assimilazione della borghesia alla
nobiltà. Infatti, la rivolta del 1585 ebbe il suo culmine il 19 maggio con il
linciaggio del rappresentante popolare. La rivolta rivelò la capacità
organizzativa dei ceti più bassi. Due mesi dopo giunse in città un esercito
comandato da Toledo che diede il via ad una vasta azione repressiva, segno che
la Spagna aveva timore delle idee politiche che si stavano diffondendo nella
cultura e nell'azione popolare. Nel 1586 fu rasa al suolo la casa del presunto
capo della rivolta, un "naturalista" che si chiamava Pisano, ed al suo posto fu
eretto un monumento nel quale furono messe le teste e le mani di tutti i
condannati a morte per i tumulti. Comunque sia, il "mal governo" c'era sempre
stato, ma il popolo non aveva mai avuto il coraggio di protestare. In questo
periodo, però la Spagna, con la sconfitta l'Invincibile Armata ad opera degli
inglesi nel 1588 e con l'uccisione di Enrico III nel 1589, sembrava essere
entrata in una fase di declino e, quindi era più vulnerabile.
Disordine nelle campagne
Le forme di protesta erano molte, ma nelle campagne il movimento più diffuso era
il banditismo. Esso era l'unica organizzazione che fosse in grado di resistere
al potere pubblico e, addirittura, in certe zone, disgregarlo. Il banditismo era
un fenomeno già radicato in Europa, ma nel Mezzogiorno la prima ondata va dal
1585 al 1592; la differenza da quello europeo è innanzitutto la numerosità delle
bande. Infatti, non a caso questo è il periodo che coincide con i migliaia di
esili e, gli esuli oltre che a rifugiarsi a Benevento e a Venezia si stabilivano
nelle province, ma non tutti riuscivano a reinserirsi nella vita sociale. Di
solito il banditismo prende vita sullo sfondo del disagio alimentare e delle
carestie, ma non è il caso di questo periodo. Le campagne meridionali, invece,
non toccate dall'andata di rivolte contadine che ha accompagnato la diffusione
della riforma protestante, reagiscono ora alla ripresa sempre più accentuata
della rendita fondiaria e soprattutto al contemporaneo sforzo di
riorganizzazione economica e finanziaria della Chiesa. Alla rivolta, prima dei
contadini poveri, partecipano i massari ovvero quelle forze contadine che
sono riuscite a trarre vantaggio dalla crisi finanziaria della nobiltà e dello
sviluppo del mercato cittadino. Essi sono nello stesso tempo lavoratori, piccoli
proprietari terrieri e imprenditori agricoli, che però hanno una struttura
diversa dalla borghesia e sono fondamentali per l'organizzazione della
pastorizia. Ora i massari, oppressi dalla nobiltà, dalla Chiesa e dagli usurai
rischiano di scomparire e approssimarsi al ceto dei contadini più poveri. Questa
degradazione sociale porterà alla mancanza di un organo organizzativo che prima
riusciva a nascondere il malcontento del mondo rurale. In un primo momento molti
contadini si rifiutano di pagare i tributi o di fare offerte alla Chiesa e, nel
1590 il viceré concede loro un una dilazione per il pagamento di questi, ma i
contadini non ancora soddisfatti cominceranno a rifiutare di pagare il tributo
alla rendita fondiaria ed ecclesiastica. I conventi, i prelati e numerosi
feudatari protestano nei confronti del governo per costringere i contadini a
pagare. L'epicentro della resistenza è la Puglia che a sua volta era già il
centro più importante della cultura granaria e la zona del regno più sviluppata
dal punto di vista dell'organizzazione dell'azienda agricola. La protesta si
protrae a lungo ed è agevolata dal fatto che in quel periodo, tutti gli sforzi
dello stato erano concentrati contro il banditismo; il baronaggio e il primo ad
avvantaggiarsi della situazione poiché i baroni stessi riuscivano a deviare il
malcontento verso la Chiesa. Così fecero in modo di distruggere l'organizzazione
ecclesiastica che rimase in crisi ancora per diversi anni tanto che in alcune
parrocchie i preti furono autorizzati a cercarsi un lavoro per poter continuare
la propria missione.
il banditismo. Esso era l'unica organizzazione che fosse in grado di resistere
al potere pubblico e, addirittura, in certe zone, disgregarlo. Il banditismo era
un fenomeno già radicato in Europa, ma nel Mezzogiorno la prima ondata va dal
1585 al 1592; la differenza da quello europeo è innanzitutto la numerosità delle
bande. Infatti, non a caso questo è il periodo che coincide con i migliaia di
esili e, gli esuli oltre che a rifugiarsi a Benevento e a Venezia si stabilivano
nelle province, ma non tutti riuscivano a reinserirsi nella vita sociale. Di
solito il banditismo prende vita sullo sfondo del disagio alimentare e delle
carestie, ma non è il caso di questo periodo. Le campagne meridionali, invece,
non toccate dall'andata di rivolte contadine che ha accompagnato la diffusione
della riforma protestante, reagiscono ora alla ripresa sempre più accentuata
della rendita fondiaria e soprattutto al contemporaneo sforzo di
riorganizzazione economica e finanziaria della Chiesa. Alla rivolta, prima dei
contadini poveri, partecipano i massari ovvero quelle forze contadine che
sono riuscite a trarre vantaggio dalla crisi finanziaria della nobiltà e dello
sviluppo del mercato cittadino. Essi sono nello stesso tempo lavoratori, piccoli
proprietari terrieri e imprenditori agricoli, che però hanno una struttura
diversa dalla borghesia e sono fondamentali per l'organizzazione della
pastorizia. Ora i massari, oppressi dalla nobiltà, dalla Chiesa e dagli usurai
rischiano di scomparire e approssimarsi al ceto dei contadini più poveri. Questa
degradazione sociale porterà alla mancanza di un organo organizzativo che prima
riusciva a nascondere il malcontento del mondo rurale. In un primo momento molti
contadini si rifiutano di pagare i tributi o di fare offerte alla Chiesa e, nel
1590 il viceré concede loro un una dilazione per il pagamento di questi, ma i
contadini non ancora soddisfatti cominceranno a rifiutare di pagare il tributo
alla rendita fondiaria ed ecclesiastica. I conventi, i prelati e numerosi
feudatari protestano nei confronti del governo per costringere i contadini a
pagare. L'epicentro della resistenza è la Puglia che a sua volta era già il
centro più importante della cultura granaria e la zona del regno più sviluppata
dal punto di vista dell'organizzazione dell'azienda agricola. La protesta si
protrae a lungo ed è agevolata dal fatto che in quel periodo, tutti gli sforzi
dello stato erano concentrati contro il banditismo; il baronaggio e il primo ad
avvantaggiarsi della situazione poiché i baroni stessi riuscivano a deviare il
malcontento verso la Chiesa. Così fecero in modo di distruggere l'organizzazione
ecclesiastica che rimase in crisi ancora per diversi anni tanto che in alcune
parrocchie i preti furono autorizzati a cercarsi un lavoro per poter continuare
la propria missione.
Il banditismo
Il contadino in breve tempo si trovò senza la
protezione del clero e ciò si aggiunse alle normali difficoltà quotidiane; il
suo malcontento lo faceva più propenso alle cosiddette rivolte mitiche,
ovvero un attacco di massa alle ricchezze private: queste esistevano anche nella
realtà sottoforma di banditismo. In questo periodo si trovavano migliaia di
banditi che rubavano solo ai più ricchi e operavano una redistribuzione della
ricchezza. I banditi napoletani non erano come i pirati: cioè i bottini che
recuperavano non potevano essere conservati, ma i capibanda avevano l'obbligo di
distribuirlo nelle campagne. I più colpiti dai "prelievi" erano i proprietari
terrieri ai quali veniva minacciata la distruzione delle proprietà qualora non
pagassero le taglie imposte. Intorno al 1590 i banditi riuscivano a tenere sotto
controllo i ricchi di intere province rispettando la popolazione, che, nella
maggior parte dei casi, aiutava gli assalitori. Per contrastare gli abitanti di
queste città ribelli il viceré vi mandava soldati che a loro volta incontravano
l'opposizione dei contadini che si opponevano al loro arrivo.
protezione del clero e ciò si aggiunse alle normali difficoltà quotidiane; il
suo malcontento lo faceva più propenso alle cosiddette rivolte mitiche,
ovvero un attacco di massa alle ricchezze private: queste esistevano anche nella
realtà sottoforma di banditismo. In questo periodo si trovavano migliaia di
banditi che rubavano solo ai più ricchi e operavano una redistribuzione della
ricchezza. I banditi napoletani non erano come i pirati: cioè i bottini che
recuperavano non potevano essere conservati, ma i capibanda avevano l'obbligo di
distribuirlo nelle campagne. I più colpiti dai "prelievi" erano i proprietari
terrieri ai quali veniva minacciata la distruzione delle proprietà qualora non
pagassero le taglie imposte. Intorno al 1590 i banditi riuscivano a tenere sotto
controllo i ricchi di intere province rispettando la popolazione, che, nella
maggior parte dei casi, aiutava gli assalitori. Per contrastare gli abitanti di
queste città ribelli il viceré vi mandava soldati che a loro volta incontravano
l'opposizione dei contadini che si opponevano al loro arrivo.
Il banditismo e la Chiesa
I legami dei membri del clero con i banditi di solito si possono spiegare come
conseguenza della corruzione e dalla decadenza della vita nei conventi. In
questo caso i monaci si uniscono ai banditi come ultimo tentativo di resistenza
alla Controriforma. In questa rivolta si colgono le aspirazioni distrutte dal
Concilio di Trento: i frati dichiararono di voler vivere secondo la propria
regula e di non voler essere “riformati” per forza. Questo disordine arrivò
anche al convento di San Domenico. L'apertura del convento era sintomo della
protesta contro Roma e cercava di recuperare quelle idee e quel costume che la
capitale stessa cercava di eliminare. Questo convento poté conservare la propria
autonomia perché sostenuto da una forte organizzazione popolare con la quale il
convento stesso aveva ricercato dei legami. Nelle province la frattura
all'interno della Chiesa era più ampia e, grazie anche alla poca istruzione dei
monaci rispetto a quelli del San Domenico, lo sbocco al banditismo era più
facile: e non solo molti conventi furono disposti a proteggere i fuorilegge, ma
preti e monaci, in numero considerevole, si aggregarono alle bande.
conseguenza della corruzione e dalla decadenza della vita nei conventi. In
questo caso i monaci si uniscono ai banditi come ultimo tentativo di resistenza
alla Controriforma. In questa rivolta si colgono le aspirazioni distrutte dal
Concilio di Trento: i frati dichiararono di voler vivere secondo la propria
regula e di non voler essere “riformati” per forza. Questo disordine arrivò
anche al convento di San Domenico. L'apertura del convento era sintomo della
protesta contro Roma e cercava di recuperare quelle idee e quel costume che la
capitale stessa cercava di eliminare. Questo convento poté conservare la propria
autonomia perché sostenuto da una forte organizzazione popolare con la quale il
convento stesso aveva ricercato dei legami. Nelle province la frattura
all'interno della Chiesa era più ampia e, grazie anche alla poca istruzione dei
monaci rispetto a quelli del San Domenico, lo sbocco al banditismo era più
facile: e non solo molti conventi furono disposti a proteggere i fuorilegge, ma
preti e monaci, in numero considerevole, si aggregarono alle bande.
Marco Sciarra
Originari di Castiglione Marco Sciarra si diede al
banditismo nel 1584. Tra il 1585 e il 1586 le bande abruzzesi si riunirono in
un'unica forza che aveva come capo Sciarra e resistette per sette anni. Pur
essendo di origine abruzzese il suo raggio d'azione era molto più ampio e,
infatti, spesso e volentieri aveva contatti con le bande romane, Campane e
perfino con quelle delle Marche, della Romagna e di Venezia. La banda di Sciarra
aveva un'organizzazione ben precisa e il suo era un vero e proprio reclutamento
di guerriglieri. Molti di essi avevano anche partecipato nell'esercito spagnolo
durante la guerra nelle Fiandre, ma venivano anche reclutati giovani che
volevano andare con loro con la paga di sette ducati al mese; avevano una cassa
comune che trasportavano in tre carri e seguivano scrupolosamente l'ideale
sociale del loro capo. Sciarra aveva a disposizione dei soldati e considerava la
propria azione come una sorta di giusta vendetta. Egli era riuscito ad ottenere
anche un vasto consenso popolare ed aveva molti amici importanti. Dal 1588 i
banditi non si limitarono più a derubare i ricchi, ma incominciò a resistere
alle truppe della Corte e, molte volte, le attaccava con successo, perdendo il
rispetto dei ministri del re. Questi attacchi, uniti a quelli della popolazione
misero in crisi il sistema della pubblica amministrazione. La lotta era ormai
diventata una guerra interna ed il viceregno tentò di risolverla concedendo
poteri straordinari agli amministratori delle province, con la speranza che
riuscissero a rompere i legami tra popolo e banditi. Le misure adottate furono
quelle di completo sgombero dei villaggi e ciò favorì la tendenza della
popolazione a riunirsi in grossi borghi lasciando molte zone disabitate, ma
furono soprattutto perseguitati i parenti dei banditi. Questo era un duro colpo
per la società contadina che aveva nel parentado la più grossa struttura di
organizzazione sociale sulla quale si poteva contare in caso di pericolo e che
poteva essere spezzata solo da ragioni interne. In questo modo furono colpiti
soprattutto i poveri vassalli e si riuscì a soffocare ogni qualsiasi focolaio di
rivolta o rivendicazione politica. In teoria, il popolo, ora, sarebbe stato
costretto o alla rassegnazione o al vero e proprio banditismo. Le proteste
divennero frequentissime e ormai si registravano violenti scontri tra le forze
di repressione e le popolazioni dei comuni, nonostante il viceré tentasse di
porre fine agli abusi dei soldati e degli agenti di governo. Quest'ulteriore
crisi rivelo il fallimento di questi metodi. Così nel 1590 fu affidato a Carlo
Spinelli il comando di un esercito di 4000 uomini; l'8 Luglio le sue forze si
scontrarono con la banda di Sciarra che fu costretta a ritirarsi nello stato
della Chiesa. Spinelli cantò troppo presto vittoria e in Settembre ci fu un
altro scontro che vide i banditi uscire vincitori. Nel 1592 ci fu una grande
adunata nelle campagne di Roma delle truppe di Sciarra, che, invece di
annunciare una nuova rappresaglia cominciava un disgregamento delle bande poiché
lui stesso aveva accettato di mettersi al servizio di Venezia con molti dei suoi
uomini nella guerra contro gli Uscocchi. I rimanenti cercarono di offrirsi come
soldati per conto di diversi signori. Clemente VIII, però, protesto con Venezia
che, secondo lui, avrebbe dovuto consegnargli Sciarra e i suoi uomini e, alla
fine, Venezia dovette cedere. Furono mandati a Creta dove furono attaccati di
sorpresa e nonostante molti furono giustiziati, Sciarra riuscì a fuggire e si
diresse verso Napoli. Durante il viaggio, nel 1593, Marco Sciarra fu ucciso
presso Ascoli dal suo ex luogotenente che si era venduto in cambio dell'amnistia
al governo pontificio.
banditismo nel 1584. Tra il 1585 e il 1586 le bande abruzzesi si riunirono in
un'unica forza che aveva come capo Sciarra e resistette per sette anni. Pur
essendo di origine abruzzese il suo raggio d'azione era molto più ampio e,
infatti, spesso e volentieri aveva contatti con le bande romane, Campane e
perfino con quelle delle Marche, della Romagna e di Venezia. La banda di Sciarra
aveva un'organizzazione ben precisa e il suo era un vero e proprio reclutamento
di guerriglieri. Molti di essi avevano anche partecipato nell'esercito spagnolo
durante la guerra nelle Fiandre, ma venivano anche reclutati giovani che
volevano andare con loro con la paga di sette ducati al mese; avevano una cassa
comune che trasportavano in tre carri e seguivano scrupolosamente l'ideale
sociale del loro capo. Sciarra aveva a disposizione dei soldati e considerava la
propria azione come una sorta di giusta vendetta. Egli era riuscito ad ottenere
anche un vasto consenso popolare ed aveva molti amici importanti. Dal 1588 i
banditi non si limitarono più a derubare i ricchi, ma incominciò a resistere
alle truppe della Corte e, molte volte, le attaccava con successo, perdendo il
rispetto dei ministri del re. Questi attacchi, uniti a quelli della popolazione
misero in crisi il sistema della pubblica amministrazione. La lotta era ormai
diventata una guerra interna ed il viceregno tentò di risolverla concedendo
poteri straordinari agli amministratori delle province, con la speranza che
riuscissero a rompere i legami tra popolo e banditi. Le misure adottate furono
quelle di completo sgombero dei villaggi e ciò favorì la tendenza della
popolazione a riunirsi in grossi borghi lasciando molte zone disabitate, ma
furono soprattutto perseguitati i parenti dei banditi. Questo era un duro colpo
per la società contadina che aveva nel parentado la più grossa struttura di
organizzazione sociale sulla quale si poteva contare in caso di pericolo e che
poteva essere spezzata solo da ragioni interne. In questo modo furono colpiti
soprattutto i poveri vassalli e si riuscì a soffocare ogni qualsiasi focolaio di
rivolta o rivendicazione politica. In teoria, il popolo, ora, sarebbe stato
costretto o alla rassegnazione o al vero e proprio banditismo. Le proteste
divennero frequentissime e ormai si registravano violenti scontri tra le forze
di repressione e le popolazioni dei comuni, nonostante il viceré tentasse di
porre fine agli abusi dei soldati e degli agenti di governo. Quest'ulteriore
crisi rivelo il fallimento di questi metodi. Così nel 1590 fu affidato a Carlo
Spinelli il comando di un esercito di 4000 uomini; l'8 Luglio le sue forze si
scontrarono con la banda di Sciarra che fu costretta a ritirarsi nello stato
della Chiesa. Spinelli cantò troppo presto vittoria e in Settembre ci fu un
altro scontro che vide i banditi uscire vincitori. Nel 1592 ci fu una grande
adunata nelle campagne di Roma delle truppe di Sciarra, che, invece di
annunciare una nuova rappresaglia cominciava un disgregamento delle bande poiché
lui stesso aveva accettato di mettersi al servizio di Venezia con molti dei suoi
uomini nella guerra contro gli Uscocchi. I rimanenti cercarono di offrirsi come
soldati per conto di diversi signori. Clemente VIII, però, protesto con Venezia
che, secondo lui, avrebbe dovuto consegnargli Sciarra e i suoi uomini e, alla
fine, Venezia dovette cedere. Furono mandati a Creta dove furono attaccati di
sorpresa e nonostante molti furono giustiziati, Sciarra riuscì a fuggire e si
diresse verso Napoli. Durante il viaggio, nel 1593, Marco Sciarra fu ucciso
presso Ascoli dal suo ex luogotenente che si era venduto in cambio dell'amnistia
al governo pontificio.