Pino Daniele

PINO DANIELE

I PRIMI PASSI
pino danielePino Daniele, all’anagrafe Giuseppe Daniele, nasce a Napoli il 19 marzo 1955, in una modesta famiglia del Quartiere Porto. Primo di sei figli, dopo alcuni anni si trasferì ad abitare con le zie Lia e Bianca che si occupano della sua istruzione, a cominciare dalle scuole elementari che Pino frequenta presso l’istituto Oberdan (dove peraltro ebbe come compagno di classe Enzo Graniello, anch’egli destinato a diventare un’icona della musica napoletana).
Sin da piccolo la sua passione è la musica e, durante gli studi per conseguire il diploma di ragioneria all’istituto Armando Diaz di Napoli, comincia ad avvicinarsi alla chitarra che impara a suonare da autodidatta. Le prime esperienze vedono un giovane Pino Daniele impegnato in un complesso chiamato “The Jet”, ma le vere occasioni per cominciare ad allenare e sviluppare le proprie capacità arrivano con la formazione dei “Batracomiomachia”, complesso fondato con Enzo Avitabile, Enzo Ciervo, Rosario Jermano, Paolo Raffone e Rino Zurzolo che si riuniva in un locale del rione Sanità nel quale sbocceranno molti dei futuri talenti della scuola napoletana, Edoardo Bennato su tutti.
Nel 1975 comincia a partecipare come musicista anche alle registrazioni di album per altri artisti; è il 1975 quando suona in un album di Mario Musella (rimasto inedito fino al 2012, anno in cui è stato pubblicato con il titolo di “Arrivedeci”). L’anno dopo è il turno di Jenny Sorrenti (sorella di Alan), che incide l’album “Suspiro” con Pino Daniele come chitarrista. A seguire, viene scritturato per una collaborazione all’album “Le due facce di Gianni Nazzaro”, di Gianni Nazzaro e partecipa al tour di Bobby Solo. Ma l’evento più importante del 1976 il suo ingresso come bassista nei “Napoli Centrale”, gruppo partenopeo molto famoso e in voga al tempo, dove conosce James Senese, sassofonista napoletano di origini americane che sarà importantissimo per la crescita musicale e personale di Pino Daniele. Lo stesso Senese, infatti, collaborerà alla realizzazione di alcuni dei primi album (“Pino Daniele” nel 1979, “Nero a metà” nel 1980 e “Vai mò” nel 1981).
I PRIMI ALBUM
Qualcosa comincia a muoversi nel 1976, quando il produttore discografico della EMI Italia Claudio Poggi ascolta una cassetta con i provini del giovane Pino Daniele e decide di puntare su di lui, facendogli incidere un 45 giri con i brani “Che calore” e “Furtunato”. E così, l’anno successivo arriva l’album di esordio dal titolo “Terra Mia”. Sin dall’inizio è chiara la sensibilità con cui questo artista racconta Napoli, con testi e melodie legati alla tradizione partenopea e mediterranea, ma allo stesso tempo innovativi e sperimentali. Nonostante sia il suo primo lavoro, il successo è subito grande, soprattutto grazie alla presenza di alcuni brani che da quel momento in poi, entreranno a far parte della storia della musica napoletana, come “Terra mia”, “Suonno d’ajere”, “‘Na tazzulella ‘e cafè”, “Libertà” e, soprattutto, l’immortale “Napule è”, composta dal cantautore a soli 18 anni.
Nel 1979 arriva il secondo album “Pino Daniele”, nel quale spiccano i brani “Je so’ pazzo”, “Je sto vicino a te” e “Chi tene ‘o mare”. Sin da subito è chiaro che, pur cantando Napoli e la realtà partenopea, il genere che propone Pino Daniele ha solo come base la tradizione, ma si distacca dai cantautori del ‘900 tendendo a fondersi di più con Rock e Blues.
LA CONSACRAZIONE
Già nel 1980 arriva la consacrazione: il 27 giugno suona all’apertura del concerto di Bob Marley a San Siro e, nello stesso anno, pubblica il suo terzo album, “Nero a metà”, unanimemente considerato quello della dell’affermazione artistica di Pino Daniele. Il lavoro, in cui è presente ancora James Senese al sassofono, è dedicato a Mario Musella, cantante degli “Showman” scomparso poco prima la pubblicazione del disco, definito appunto Nero a metà visto che era di madre napoletana e padre americano. Il 19 settembre 1981, Pino Daniele riabbraccia Napoli con un grande concerto in Piazza Plebiscito, con una formazione di musicisti che racchiude il meglio della realtà napoletana: Tullio Depiscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo, Tony Esposito e James Sense.
La stessa band partecipa anche al quarto album, “Vai mò”, pubblicato nel 1981, che segna un ulteriore passo avanti nella ricerca musicale di Pino Daniele. La sua musica e il suo sound innovativo gli fanno ottenere la possibilità di collaborare con musicisti di fama internazionale, a cominciare già da “Bella ‘mbriana”, disco del 1982, a cui partecipano anche il bassista Aphonso Johnson e il sassofonista Wayne Shorter, entrambi provenienti dalla band statunitense “Weather Report”. Nel 1983 incise e produsse l’album Common Ground con Richie Havens, mentre collaborò con due brani ad “Apasionado”, disco del sassofonista jazz argentino Gato Barbieri.
Nel 1984 Pino Daniele ritorna sul palco di San Siro per aprire il concerto di Carlos Santana e Bob Dylan il 24 giugno, mentre nello stesso anno arriva il nuovo album “Musicante” e il primo disco dal vivo “Sciò Live”, con collaborazioni di Chick Corea e George Benson. La produzione e la vena musicale del cantautore napoletano è inesauribile e, nel 1985, è tempo del settimo lavoro in studio con “Ferryboat”, in cui si sperimentano nuove collaborazioni con Steve Gadd, Mino Cinelu e Gato Barbieri, che suona il suo sassofono nei brani “Che ore so'” e “Amico mio”.
Nel 1987 arriva l’ottavo album, “Bonne Soirée”, con una formazione di grandi musicisti formata da Pino Palladino al basso, Bruno Illiano alle tastiere, Jerry Marotta (che suonava con Peter Gabriel) alla batteria, Mel Collins al sassofono e Mino Cinelu alle percussioni. La produzione di canzoni non si ferma e, già nel 1988, Pino è pronto per il nono album in studio che viene pubblicato con il nome “Schizzeche with love” con il quale, grazi e al brano “Schizzechea” viene premiato con la Targa Tenco come miglior canzone in dialetto. Poco dopo, l’artista napoletano gira l’Europa partecipando alla serie di concerti “Night of Guitar” insieme ad artisti come Randy californi, Pete Haycock , Steve Hunter, Robby Krieger, Andy Powell, Ted Turner, Leslie West, Phil Manzanera, Jack Akkerman. Gli anni ottanta si chiudono con il decimo album, “Mascalzone Latino” (il cui nome viene ripreso molti anni dopo dall’omonimo team partecipante all’America’s Cup di Vela dove si nota un ritorno a sonorità più mediterranee, nel quale spicca “Anna verrà”, brano dedicato all’attrice Anna Magnani.
GLI ULTIMI ALBUM IN NAPOLETANO
Gli anni ’90 si aprono con un lungo periodo di silenzio (per motivi di salute), cosa inconsueta per un artista che aveva abituato il pubblico al ritmo incessante di quasi un album all’anno. Ma l’attesa dei fan si conclude nel gennaio del 1991, quando Pino Daniele pubblica “Un uomo in blues”, nel quale rimane si trova una della sue canzoni più famose: “‘O scarrafone”. L’album nasce soprattutto grazie all’incontro avvenuto l’anno prima con il grande chitarrista jazz americano Mick Godrick, che suona anche nei brani “Che soddisfazione” e “Invece no”.
Nel frattempo, anche nella vita privata ci sono grandi cambiamenti, con un nuovo matrimonio con Fabiola Sciabbarasi (dalla quale avrà due figlie) dopo la separazione da Dorina Giangrande (sua corista nell’album “Terra mia” e “Un uomo in blues”). Ma la carriera riprende senza ripercussioni, nel 1992, viene pubblicato “Sotto ‘o sole”, album che con le canzoni “Quando” e “‘O ssaje comme fa ‘o core” rafforza l’amicizia e il sodalizio artistico con Massimo Troisi con il quale, dopo aver composto le colonne sonore di “Ricomincio da Tre” (1981) e “Le vie del Signore sono finite” (1987), realizza anche quella per “Pensavo fosse amore… invece era un calesse”. Anche in questo album ritroviamo la collaborazione con Mick Godrick che suona la chitarra nei brani “Sotto ‘o sole”,” ‘O ssaje comme fa ‘o core” e “Viento”.
Nel 1993 pino Daniele ritorna ad esibirsi dal vivo e, dal doppio appuntamento a Cava de’ Tirreni (22 e 23 maggio) ricava l’album live “E sona mo”. Ma il dodicesimo album in studio non si fa attendere e, già nello stesso anno, arriva nei negozi “Che dio ti Benedica” dove, ancora un volta, collabora con l’amico Troisi, dando vita al brano “T’aggia vedè morta” (sarà l’ultima collaborazione tra i due) e collabora con musicisti Chick Corea e Ralph Tower, mentre il brano “Sicily” gli vale la seconda Targa Tenco.
Nel 1994, Pino Daniele tocca i principali stadi italiani con una straordinaria tournée insieme a Eros Ramazzotti e Jovanotti, con i quali si esibì durante il mese di giugno a Monza, Bari, Palermo, al San Paolo di Napoli, all’Olimpico di Roma, a Bassano del Grappa e a Modena. L’anno dopo fu protagonista di altri concerti dal vivo insieme a Pat Methenv (chitarrista jazz statunitense tra i più famosi e apprezzati) con il quale si esibì in varie città italiane tra cui Roma, Reggio Emilia, Torino, Cava de’ Tirreni e Milano.
LA SVOLTA E IL GRANDE SUCCESSO
I suoi due album successivi, “Non calpestare i fiori nel deserto” (1995) e “Dimmi cosa succede sulla terra” (1997) segnano una svolta nella carriera dell’artista che abbandona le sonorità e le contaminazioni della tradizione napoletana per attingere a sound più orientali e nordafricani, senza dimenticare il suo amore per il blues. Il nuovo stile apre al successo verso il grande pubblico: il primo album, lanciato dal singolo “Io per lei”, vende oltre ottocentomila copie, mentre il secondo arriva al milione, permettendo a Pino Daniele di trionfare nel Festivalbar 1997 con il brano “Che male c’è”. L’onda del successo gli vale, l’anno successivo, la partecipazione al “Pavarotti International”, durante il quale duetta con il tenore emiliano cantando “Napule è”. Nel 1999 viene pubblicato l’album “Come un gelato all’equatore”, anticipato l’anno precedente dalla raccolta “Yes I know my way”, nella quale, oltre alla rivisitazione di 13 brani storici, compaiono gli inediti “Amore senza fine”, “Per te” (strumentale) e”Senza peccato” (rifacimento di “Yes I know my way”, pubblicata nel 1981), quest’ultima registrata insieme ai Simple Minds.
UN LENTO RITORNO ALLA TRADIZIONE, CON UNO SGUARDO AL FUTURO...
L’inizio del nuovo millennio vede intensificarsi le suggestioni musicali importate dal nord Africa che danno vita all’album “Medina”, pubblicato nel febbraio del 2001 e anticipato dal singolo “Mareluna”. Il nuovo lavoro, però, apre anche ad un lento ritorno alla tradizione napoletana vista la presenza del brano “Senza ‘e te”, scritto interamente in dialetto, e di una collaborazione con i 99 Posse nella canzone “Evviva ‘o rre”.
Nel 2004 è la volta di “Passi d’autore”, lavoro che prosegue verso la ricontaminazione con melodie jazz e napoletane che si alternano a brani nei quali Pino Daniele sperimenta una riscoperta dei madrigali cinquecenteschi, come avviene in “Arriverà l’aurora”. Tra i brani proposti, il cantautore napoletano presenta anche “Tango della buena suerte”, dedicato a Diego Armando Maradona.
L’anno dopo arriva “Iguana Jazz Cafè” che, come si può intuire dal titolo, mescola sonorità jazz, blues e caraibiche, tra le quali, però, trova spazio un po’ di tradizione con “It’s Now or Never”, cover inglese di “‘O sole mio”, lanciata già a suo tempo da Elvis Presley. Legata a questo album rimarrà indelebilmente legata la data in cui il tour fa tappa a Napoli, dove, il 14 maggio, Pino Daniele ritorna a condividere il palco con James Senese e Tony Esposito dopo ben 25 anni.
Dopo due anni il musicista napoletano ritorna alla ribalta con un nuovo album dal titolo “Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui”, caratterizzato soprattutto da ritmi napoletani e latino-americano, con la partecipazione di Giorgia, Toni Esposito e Alfredo Paixão.
IL RITORNO DI NERO A META'
Ma è il 2008 a segnare una svolta storica nella carriera di Pino Daniele che riforma la sua band storica insieme a Tullio De Piscope, James Senese, Tony Esposito, Joe Amoruso e Rino Zurzolo (ai quali aggiunge Chiara Civello e Al Di Meola) con i quali realizza “Ricomincio da 30”, un omaggio al suo amico Troisi che comprendeva 41 brani del passato e 4 inediti: “Acqua ‘e rose”, “O munn va”, “L’ironia di sempre” e “Anema e core”. Dalla collaborazione nasce anche un tour che, l’8 luglio, riporta Pino Daniele ad esibirsi in una Piazza del Plebiscito stacolma (almeno 150’000 persone), con un concerto-evento ai quali il cantante napoletano inviò numerosi colleghi (Giorgia, Irene Grandi, Avion Travel, Nino D’Angelo, Gigi D’Alessio, ecc…).
Ma la produzione musicale di Daniele non si ferma. L’anno successivo è pronto un nuovo disco, “Electric Jam”, dove continua la sperimentazione e la collaborazione con altri artisti: questa volta è il turno del rapper J-Ax, con il quale incide “Il sole dentro di me” (collaborazione che Pino Daniele ricambia partecipando all’album di J-Ax “Decadence”, dove canta il ritornelli di “Voglio di più” all’interno del brano “Anni amari”).
Nel 2009 si esibisce anche all’Apollo Theatre di New York (1 ottobre) e a Toronto (4 ottobre), mentre il 26 giugno 2010 viene chiamato da Eric Clepton al Crossroads Guitar Festival presso il Toyota Park di Chicago.Il gran numero di impegni, però, non gli impedisce di pubblicare (23 novembre) il suo ventiduesimo album in studio dal titolo “Boogie Boogie Man”, nel quale collabora con importanti esponenti della musica italiana come Mina, Franco Battiato, Mario Biondi e J-Ax. Nel 2011, invece, continua il sodalizio artistico con Eric Clapton, che viene invitato ad esibirsi allo stadio di Cava De’ Tirreni (24 giugno).
Nel 2012 arriva “La grande madre”, ultimo album in studio di Pino Daniele che si avvale della partecipazione di numerosi artisti come Steve Gadd, Chris Stainton, Mel Collins, Omar Hakim, Rachel Z, Willie Weeks, Gianluca Podio, Solomon Dorsey e Mino Cinelu, mentre per il tour omonimo (realizzato da marzo a novembre in Italia, New York, Boston e Washington) la sua formazione vede la presenza di Rachel Z al pianoforte, Omar Hakim alla batteria, Solomon Dorsey al basso e Gianluca Podio alle tastiere.
Nel 2014 Pino Daniele riesce a regalare a tutti i fan un grande evento, un progetto musicale con il quale intende riproporre e risuonare dal vivo i brani di “Nero a metà” con la storica formazione. E così, il primo settembre, all’arena di Verona , ritorna sul palco con James Senese al sassofono, Gigi di Rienzo al basso, Agostino Marangolo alla batteria, Ernesto Vitolo al piano e alle tastiere, Rosario Jermano alle percussioni e Tony Cercola ai bongos. Da seguiranno altre date, le ultime esibizioni dal vivo del grande cantautore napoletano, che toccano Conegliano (6 dicembre), Bari (11 dicembre), Roma (13 dicembre), Napoli (16 e 17 dicembre) e Milano (Assago, 22 dicembre). L’ultima esibizione è datata 31 dicembre 2014, data in cui partecipa al programma televisivo “L’anno che verrà”.
LA MORTE
La sera del 4 gennaio 2015, Pino Daniele accusa un malore presso la sua residenza in Toscana. Nei momenti concitati in seguito a quello che poi si rivelerà un infarto, il cantante, da tempo sofferente di cuore, decide di raggiungere Roma per avvicinarsi al suo cardiologo di fiducia. Il viaggio però è troppo lungo e giunge in gravissime condizioni all’ospedale Sant’Eugenio dove a nulla servono i tentativi dei medici per rianimarlo. Viene dichiarato morto alle ore 22.45.
La sua prematura morte provoca un’ondata di commozione tra i colleghi e soprattutto a Napoli dove l’amore nei suoi confronti è rimasto intatto, mai scalfito nemmeno da quello che alcuni hanno considerato un “tradimento”, cioè abbandonare per molti anni le canzoni in napoletano e trasferirsi lontano dal capoluogo campano. E infatti, la sera del 6 gennaio, circa 100’000 persone si radunano in Piazza del Plebiscito per rendergli omaggio cantando le sue canzoni.
I funerali vengono celebrati in due tappe, il 7 gennaio. Al mattino, presso il Santuario della Madonna del Divino amore a Roma e, poi, la sera, ancora in Piazza del Plebiscito dove il Cardinale Crescenzio Sepe celebra la messa davanti a più di 100’000 persone. Nei giorni successivi, dal 12 al 22 gennaio, l’urna contenente le ceneri dell’artista viene esposta nella sala dei Baroni del Maschio angioino a Napoli per consentire a tutta la città di tributare l’ultimo saluto al suo figlio scomparso. In seguito, l’urna viene trasferita nel cimitero di Magliano in Toscana.
IL CONTRIBUTO ALLA MUSICA NAPOLETANA
E’ difficile spiegare che cosa abbia significato Pino Daniele per la musica napoletana. Ha saputo caricarsi sulle spalle tutta la tradizione secolare della canzone partenopea riuscendo a cantare Napoli tenendola lontana dagli stereotipi e dalla banalità, sperimentando senza mai travisarla o svilirla. Anzi, proprio grazie al suo lavoro e alle sue grandi doti di musicista ha reso il messaggio ancora più internazionale aprendo nuove frontiere agli artisti che sono arrivati dopo di lui.
Ma Pino Daniele non ha dimostrato di essere solo un grande (se non il più grande) musicista. La sua grandissima e rarissima sensibilità gli ha permesso di essere in grado di scrivere un capolavoro immortale come “Napule è” a soli 18 anni e, in molte altre canzoni, di raccontare la propria città e la propria realtà come nessuno aveva mai fatto prima. Non a caso, era grande amico di Massimo Troisi con il quale ha regalato ai fan emozioni indescrivibili e indimenticabili.

Il ricordo che Jovanotti ha affidato alle pagine di Facebook il 6 gennaio 2015, spiega meglio di qualsiasi altra cosa quello che Pino Daniele rappresentava e rappresenta per Napoli:

“Con Pino mi accadeva un fenomeno inspiegabile, dopo qualche minuto che stavo con lui mi veniva un accento un po’ napoletano. Sul serio, se ci passavo una giornata poi a fine cena mi ritrovavo a usare espressioni tipo “uè” o perfino “guagliò”. Era un influsso che lui aveva, pinodanielizzava l’atmosfera. Lo faceva con la musica ma se ci penso bene lo faceva proprio con tutto se stesso che era tutto un se stesso fatto solo di musica.[…] Lo conobbi nel 1994, mi proposero di fare il tour con lui ed Eros. Non ci potevo credere.[…] Con Pino legammo tanto, mi voleva bene e io mi sentivo un prescelto a poter essere in confidenza con quel grande artista che mi sembrava fatto di musica, pensava solo alla musica, zero menate, la musica al centro di ogni cosa. Mi regalò la sua amicizia sanguigna e fraterna. Pino era simpatico e ti faceva piegare dalle risate, quando voleva, i suoi racconti sono letteratura blues e commedia dell’arte, belli come certe sue canzoni, e divertenti come i film di Totò, che per lui era un dio. Tante emozioni oggi, troppe tutte insieme.
Conservo il ricordo della giornata di Napoli, allo stadio San Paolo, 13 giugno 1994. Era il suo ritorno a Napoli dopo tanti anni senza esibirsi nella sua città, e io e “Ramazza” (è così che gli amici chiamano Eros) lo avremmo accompagnato in quella che per lui e per i napoletani era la cosa più importante del mondo. Inoltre da pochi giorni era morto Massimo Troisi e la cosa aveva caricato quella giornata di un’emozione ancora più forte e aveva avvolto Pino in una nuvola di pensieri che rimanevano tra se e se. Pino era agitato, silenzioso, ogni tanto sdrammatizzava con una battuta ma quel concerto per lui era molto più di un concerto. La città era in attesa, i biglietti introvabili, nessuno a Napoli sapeva dove alloggiava Pino, e si temeva che se fosse entrato anche con un blindato nello stadio ci sarebbero stati dei rischi di ordine pubblico là fuori, per il troppo amore dei fans. Così lui entrò nello stadio all’alba, mentre la città dormiva ancora, arrivando da Roma, e rimase in camerino per tutta la giornata senza che nessuno lo venisse a sapere, tranne noi e pochi intimi. Quel giorno ero uno dei tre ammessi nel suo camerino e parlammo di tutto meno che di quello che stava per succedere. Come sempre Pino sdrammatizzava, lo ha sempre fatto quando si trattava di avere a che fare con il mito che era diventato. Quando uscimmo sul palco ce l’avevo accanto e guardando lo stadio assistetti alla più grande dimostrazione di amore di un popolo verso un artista che lo rappresenta, qualcosa di veramente storico, mai vista prima e mai più vista una cosa del genere. Una cosa che non dimenticherò mai. Quella Napoli si riconosceva in Pino Daniele, l’artista che aveva saputo valorizzarla non attraverso le sue maschere ma partendo dalla realtà e dalla poesia, l’uomo che l’aveva liberata dagli stereotipi, che l’aveva portata nella modernità senza perderci in cultura e in umanità. Pino Daniele è per Napoli quello che Bob Marley è per la Jamaica, ma siccome i napoletani sono napoletani e Napoli è Napoli, tutto è amplificato, tutto è più grande più complesso più rumoroso più infuocato più indescrivibile a parole.[…] Pino Daniele è stato un artista enorme, un vero gigante, e il tempo non farà altro che consolidare questa sua immensa importanza per la musica e per la cultura dei nostro paese. Napoli perde il suo figlio musicista più grande del dopoguerra, senza nessun dubbio, e uno dei più grandi di tutti i tempi, ne sono del tutto sicuro.”

Ed è proprio per questo che Napoli lo ha amato, lo ama e lo amerà per sempre

Enrico Caruso

ENRICO CARUSO

I PRIMI PASSI
enrico carusoCaruso nasce a Napoli il 25 febbraio 1873 da una famiglia povera di originaria della provincia di Caserta (Piedimonte d’Adife che, oggi, ha cambiato nome in Piedimonte Matese). I genitori riescono appena a sbarcare il lunario: la madre, Anna Baldini, lavorava come donna delle pulizie e il padre, Marcellino, come operaio metalmeccanico e il ragazzo cresce nel rione di Sangiovannello agli Ottocalli. Enrico frequenta la scuola fino a dieci anni, poi segue le orme del padre che lo porta con sé a lavorare. Fortunatamente la madre decide di iscriverlo ad una scuola serale dove capisce di essere portato per il disegno e comincia a progettare alcune fontane per la fonderia in cui lavorava. Questo gli permette di coltivare la passione per l’arte che, comunque, trovava massima attraverso la voce. Voce che ben presto cattura le attenzioni di un’amica di famiglia (Rosa Barretti), la quale insiste per presentarlo al parroco e per inserirlo nel coro della chiesa. Successivamente si trasferisce e comincia a cantare nella Chiesa di Sant’Anna delle Paludi dove il parroco Giuseppe Bronzetti gli dà
l’opportunità di cimentarsi in opere come la Messa di Mercadante e I briganti nel giardino di Don Raffaele, dove interpreta il ruolo di un bidello. Intanto, incomincia anche ad affermarsi tra i posteggiatori, finché non viene notato da Amalia Gatto che decide di presentarlo ai suoi due primi maestri di canto, Schiaridi e De Lutio, che gli impartiscono le prime lezioni. Successivamente comincia a cantare anche in un'altra chiesa, quella di San Severino e Sossio, dove prende lezioni dal maestro Amitrano. Passa, poi, sotto la guida del maestro Sarnataro e comincia ad esibirsi al Caffè dei Mannesi dove si confronta con altre figure emergenti della canzone napoletana. In seguito viene scritturato dalla birreria Strasbugo di Piazza Municipio insieme ad alcuni artisti del Cafè Chantant; proprio grazie ad uno di questi intraprende la via del teatro. All’inizio si tratta di piccole rappresentazioni, serate musicali alle terrazze o agli stabilimenti balneari per allietare il borghesi e turisti. Ma, ben presto, questa dimensione comincia a stargli stretta.
LA CRESCITA
La svolta arriva casualmente, quando il baritono Eduardo Missiano lo sente cantare e, talmente entusiasmato dalle qualità di Caruso, decide di portarlo dal maestro Guglielmo Vergine che divenne il suo maestro. Caruso non aveva i soldi per pagarsi le lezioni, ma Vergine crede molto nelle qualità del ragazzo e decide di impartigli le lezioni gratuitamente, pretendendo, però, il 25% dei suoi guadagni per i primi 5 anni di carriera nel caso in cui venisse scritturato. All’inizio la sua voce era bella ma ancora “acerba”, priva di qualsiasi nozione tecnica. Ed è in questo frangente che comincia ad affiorare il suo carattere, una grande assiduità nello studio, precisione e tenacia che lo porteranno a diventare il più grande di tutti i
tempi. In quel periodo Enrico fu costretto ad affrontare la morte per tubercolosi della madre, mentre il padre si risposa con Maria Castaldi, che riesce comunque a fare breccia nel cuore di Caruso, il quale ritrova la voglia
per continuare la sua avventura nel mondo dello spettacolo. Nel 1894 le lezioni si interrompono perché Enrico viene chiamato nell’esercito a Rieti, ma, fortunatamente, dopo solo un mese e mezzo viene congedato grazie al maggiore Magliati che, appassionato di musica, decide di non rovinare il talento che aveva di fronte con le fatiche della vita militare e, sfruttando le leggi del tempo, lo fa sostituire dal fratello maggiore Giovanni, permettendogli di continuare gli studi. Caruso si sente pronto per l’esordio e il maestro Vergine riesce a farlo scritturare al Teatro Mercadante per la Mignon di Ambroise Thomas, ma, dopo le prove, non viene accettato. Successivamente si ritrova a dover fronteggiare un altro fiasco al San Carlo di Napoli, dove viene chiamato
per sostituire un tenore ammalato nel Faust di Gounod, ma l’emozione e l’inesperienza non gli permettono di terminare l’esibizione. Fortunatamente non deve aspettare molto per una seconda occasione.
L'INIZIO DELLA CARRIERA
Enrico non si demoralizza e riesce a ricavare dalle delusioni la forza e gli insegnamenti per proseguire gli studi e per intraprenderne di nuovi, esercitandosi per ore e ore ogni giorno. La sua carriera comincia ufficialmente nel 1895 al Teatro Nuovo di Napoli con una parte ne "L’amico Francesco" di Domenico Morelli, un Napoletano benestante che aveva le risorse economiche per portare in scena le proprie opere. Durante questa recita, Enrico viene notato dall’impresario Ferrara che decide di Portarlo a Caserta e scritturarlo per l’intera stagione teatrale. Da qui, Caruso inizia il suo cammino; canta il Faust, la Cavalleria Rusticana, il Rigoletto, la Traviata, la Gioconda con ottimi risultati. Così viene chiamato anche per delle esibizioni al Cairo e nel 1897 comincia a girare per i teatri d’Italia. Durante un’esibizione a Salerno, Caruso conosce il direttore d’orchestra Vincenzo Lombardi che gli offre la possibilità di partecipare alla stagione estiva a Livorno. Questa nuova opportunità lavorativa si rivela interessante soprattutto
per le conseguenza che ha nella vita sentimentale del tenore napoletano. Infatti, in questo periodo conosce il soprano Ada Giacchetti che, sebbene sia già sposata con un figlio, ha con lui una relazione di 11 anni, dalla quale nascono Rodolfo (1898) ed Enrico jr (1904). L’amore, però, finirà bruscamente quando la donna decide di scappare con l’autista cercando anche di estorcere del denaro a Caruso. La vicenda finisce davanti ad un giudice che condanna la Giacchetti a tre mesi di carcere e 100 lire di multa. Nel 1898 si registra l’esordio al Teatro Lirico di Milano al quale seguì, nel 1899, il primo importante ingaggio all’estero, a Pietroburgo in Russia e, poi, a Lisbona, Roma, Montecarlo, Londra e Buenos Aires.
LA DELUSIONE DI NAPOLI
Nel 1900 Caruso ritorna alla Scala nella Boheme diretta da Arturo Toscanini, ma è il 1901 che porta una drammatica svolta alla sua carriera. Finalmente viene scritturato per cantare Teatro San Carlo di Napoli, il 30 dicembre, dove interpreta “Elisir d’amore” e “Manon”. Durante l’esibizione, però, viene tradito dall’emozione e non riesce a cantare al meglio. Deluso dalle reazioni e dalle critiche, anche se il pubblico più "popolare" lo aveva comunque acclamato, Caruso decide che non avrebbe mai più cantato nella sua città. Il contratto che aveva stipulato prevedeva anche altre apparizioni dove le cose vanno in modo ben diverso, tanto da ottenere altri ingaggi come quelli al Covent Garden di Londra e al
Metropolitan di New York. Ma, nonostante la rivincita, la decisione di lasciare Napoli è ormai presa e, quando nel 1904, decide di comprare una casa in Italia, la scelta cade sulla provincia di Siena, più precisamente sul comune di Lastra a Signa dove compra, restaura e arricchisce con numerose opere d’arte Villa di Bellosguardo. Tutto questo, però, non vuol dire che Caruso decida di rinnegare le sue origini, anzi, torna a Napoli spesso, ma si rifiuta sempre di cantare. Anche quando viene chiamato per beneficenza decide di donare solamente del denaro mantenendo fede al suo giuramento. Napoli rimane comunque la città in cui il tenore decide di trascorrere gli ultimi giorni della sua vita.
L'INIZIO DEL MITO
Il 1902 segna un’altra tappa fondamentale per la sua carriera e, forse, anche per la storia della musica. Caruso decide di incidere di incidere dei dischi, cimentandosi con una nuova tecnologia che ancora nessun artista aveva sperimentato, probabilmente spaventato dalla possibilità che la registrazione potesse modificare la voce. E così, l’11 aprile, a Milano, incide dieci dischi con arie e opere per la casa discografica inglese “Gramophone & Typewriter Company”. La sua popolarità contribuisce non poco allo sviluppo dell’industria discografica che grazie a lui riesce a convincere gli scettici, ma anche la facilità con la quale potevano essere distribuiti e venduti i dischi favorisce il crescere della popolarità di Caruso. Nel 1903 il tenore napoletano sbarca finalmente in America per l’esordio al Metropolitan di New York da dove parte la sua carriera internazionale. All’inizio il successo raggiunto non è così travolgente come lo stesso Caruso avrebbe voluto, soprattutto perché la lirica d’oltre oceano vive ancora nel ricordo dei miti del passato. Il suo obiettivo è quello di essere considerato il più grande, ma i tempi non sono ancora maturi. Prima di ritornare si esibisce a Parigi, Barcellona e Londra: un trionfo. Spinto da questo successo interpreta “Aida” al Metropolitan dove, finalmente, diventa definitivamente “il grande Caruso”. La sua forza non è solo quella di aver conquistato la critica e gli addetti ai lavori, ma di aver tradotto la canzone lirica in emozioni per il pubblico. Proprio questo rende la sua musica un fattore rilevante in ambito sociale, soprattutto per quegli emigranti che si identificano in lui. La sua fama cresce di giorno in giorno e già nel 1904 arriva un contratto importante con la casa discografica RCA Victor, primo italiano ad avere questo onore. Tra il 1905 e il 1920 Caruso è il protagonista incontrastato della scena lirica di New York. Partecipa a più di 600 rappresentazioni, cimentandosi con tutte le opere liriche più belle e più famose. Inoltre, organizza anche dei concerti per un pubblico più vasto e meno colto, in cui esegue un vasto repertorio di canzoni napoletane, tra le quali troviamo anche “Tiempo antico”, unico brano della sua discografia scritto da lui. In questi anni raggiunge una popolarità incredibile e, nel 1918, Caruso viene chiamato ad Hollywood per girare due film (“My Cousin” e “The splendid romance”) che, però, non furono apprezzati. La sua storia d’amore con Ada Giacchetti termina e nel 1909 incide un disco con 22 canzoni napoletane, tra le quali anche “Core ‘ngrato”, che si ispiravano o descrivevano i suoi tormenti affettivi. Nello stesso anno qualcosa sembra cominciare ad incrinarsi nel fisico di Caruso, che è costretto a sottoporsi ad un operazione per una laringite ipertrofica. Tutto questo, però, non ha conseguenze sulla sua turnée, durante la quale, riesce anche a trovare il tempo per concerti di beneficenza durante la guerra. Finalmente, nel 1918 Ada Giacchetti, pur rimanendo il grande amore della sua vita, viene rimpiazzata da Dorothy Benjamin, una ragazza di vent’anni più giovane che Caruso sposa il 28 agosto 1918 e con la quale avrà una figlia di nome Gloria.
LA MORTE PREMATURA
La sua carriera procede senza intoppi fino agli anni ’20, quando cominciano ad affiorare i primi sintomi del suo male. L’insonnia e i mal di gola si fanno sempre più pressanti, finché nel 1920 è costretto ad interrompere la rappresentazione di “Elisir d’amore” perché colpito da un’emorragia. Inevitabile il ricovero e l’intervento chirurgico che lo costringono ad un periodo di convalescenza. Caruso approfitta della situazione per ritornare a Napoli nel giugno del 1921, alloggiando al Grand Hotel Excelsior Vittoria di Sorrento. Il male sembra vinto, ma il 26 luglio ha una ricaduta a cui segue una febbre molto alta. I dottori capiscono che i medici americani non avevano capito quale fosse il vero male che affliggeva Enrico, gli consigliano un’altra operazione d’urgenza, ma le condizioni del tenore, al quale viene diagnosticato un ascesso sub-frenico tra diaframma e fegato, si aggravano ulteriormente rendendone impossibile l’intervento chirurgico. Caruso viene trasferito all’Hotel Vesuvio a Napoli, dove muore il 2 agosto 1921 alle 9.07, all’età di 48 anni.
IL CONTRIBUTO ALLA MUSICA NAPOLETANA
I funerali furono celebrati in una Piazza del Plebiscito stracolma, ma mentre in America il mito di Caruso (che era già forte quando lui era in vita) cresceva sempre di più, a Napoli il suo ricordo si affievoliva col tempo. Nel 1973 viene organizzato un concerto al San Carlo in suo onore, mentre nel 1976 viene costruito un suo busto in Piazza Ottocalli, nei pressi di quei vicoli che l’avevano visto crescere. Attenzioni minime e tardive, forse frutto di una lacerazione insanabile con la città dopo le critiche ai suoi esordi, mentre negli Stati Uniti era già nato “The Enrico Caruso Museum of America” grazie ad Aldo Mancusi. Nonostante Caruso si sia sempre rifiutato di cantare a Napoli a seguito della cocente delusione del 1901, il suo attaccamento alla città e alle sue origini rimane intatto e nei primi anni del 900, pur essendo un cantante di musica lirica, non dimentica mai di essere figlio della tradizione dei “posteggiatori” e contribuisce in maniera decisiva alla diffusione della canzone napoletana nel mondo, soprattutto grazie alla possibilità che gli dava l’incisione dei dischi. Fuori dai salotti e dai teatri, Caruso cantava sempre canzoni Napoletane tra cui “Torna a Surriento” e “Io te vurria vasà”. Tutti i più grandi artisti e compositori sono stimolati dalla sua presenza e componevano canzoni continuamente, persino D’Annunzio si cimentò scrivendo “’A vucchella”. Porta nel mondo tutte le canzoni napoletane nascenti che inserisce nel suo repertorio, dando spazio ad artisti emergenti come E. A. Mario, Tagliaferri e Capaldo. Strappava ingaggi molto elevati per cantare nei teatri e nei salotti, ma aveva sempre tempo per cantare gratis canzoni napoletane allietando gli emigranti. La prima canzone incisa su disco nel 1909 è “Mamma mia che vò sapè”, scritta da F. Russo e musicata da E. Nutile. Insieme a questa ci sono altre 21 canzoni tra le quali “Canta pe mme”, “Guardanno ‘a luna”, “Sultanto a te”, “Scordame”, “Uocchie Celeste”, “Pecché”, “Tu ca nun chiagne”, “Core ‘ngrato” e “Tiempo antico” che, come detto in precedenza, è l’unica scritta totalmente da lui.

Era lu tiempo antico
Pe' me lu paraviso
ca sempe benedico
pecché cu nu surriso
li braccia m'arapive
e 'mpietto me strignive.
Chino 'e passione
currevo 'mbraccio a te.
Ma tu ca sì 'nfamona
tu te cuffiave 'e me.

Tu te ne sì gghiuta
cu n'auto 'nfantasia
e a chesta vita mia

'na fossa aje araputo!

Di essa è disponibile anche un'altra versione che è riportata di seguito:

Era lu tiempo antico

comm'era 'o Paraviso,

ca sempe benedico,

li bracce m'aparive 'mpietto m'astrignive.

Chine de passione
currevo 'mbraccio a tte.

Ma tu ca si 'nfamona,

cu tutt'e dduje uocchie e a vedè!

Ma chillu tiempo antico

te si scurdate, ojnè?

Penzanno 'o tiempo antico,

che ne sarrà de me?

Penzanno sempe o tiempo antico,

che ne sarrà de me?

OMAGGI E DEDICHE
Alla figura di Caruso sono dedicate molte canzoni. La più famosa è sicuramente quella composta da Lucio Dalla nel 1986. In quell’anno, il cantante bolognese si trovava a Sorrento, ma, a causa di un guasto alla barca è stato costretto a fermarsi e ad alloggiare al Grand Hotel Excelsior Vittoria, nel quale è disponibile solo la suite Caruso. Inspirato dal golfo di Sorrento e dal luogo in cui si trovava, totalmente dedicato al tenore, compone "Caruso" che, oltre ad essere una delle sue più belle canzoni, è sicuramente una pagina immortale della musica italiana in patria e nel mondo.

Oltre alle canzoni, al tenore napoletano sono dedicati dei musei:

Museocaruso
Villa Caruso – Bellosguardo
The Enrico Caruso Museum of America
Ristorante Museo Caruso