Enrico Caruso

ENRICO CARUSO

I PRIMI PASSI
enrico carusoCaruso nasce a Napoli il 25 febbraio 1873 da una famiglia povera di originaria della provincia di Caserta (Piedimonte d’Adife che, oggi, ha cambiato nome in Piedimonte Matese). I genitori riescono appena a sbarcare il lunario: la madre, Anna Baldini, lavorava come donna delle pulizie e il padre, Marcellino, come operaio metalmeccanico e il ragazzo cresce nel rione di Sangiovannello agli Ottocalli. Enrico frequenta la scuola fino a dieci anni, poi segue le orme del padre che lo porta con sé a lavorare. Fortunatamente la madre decide di iscriverlo ad una scuola serale dove capisce di essere portato per il disegno e comincia a progettare alcune fontane per la fonderia in cui lavorava. Questo gli permette di coltivare la passione per l’arte che, comunque, trovava massima attraverso la voce. Voce che ben presto cattura le attenzioni di un’amica di famiglia (Rosa Barretti), la quale insiste per presentarlo al parroco e per inserirlo nel coro della chiesa. Successivamente si trasferisce e comincia a cantare nella Chiesa di Sant’Anna delle Paludi dove il parroco Giuseppe Bronzetti gli dà
l’opportunità di cimentarsi in opere come la Messa di Mercadante e I briganti nel giardino di Don Raffaele, dove interpreta il ruolo di un bidello. Intanto, incomincia anche ad affermarsi tra i posteggiatori, finché non viene notato da Amalia Gatto che decide di presentarlo ai suoi due primi maestri di canto, Schiaridi e De Lutio, che gli impartiscono le prime lezioni. Successivamente comincia a cantare anche in un'altra chiesa, quella di San Severino e Sossio, dove prende lezioni dal maestro Amitrano. Passa, poi, sotto la guida del maestro Sarnataro e comincia ad esibirsi al Caffè dei Mannesi dove si confronta con altre figure emergenti della canzone napoletana. In seguito viene scritturato dalla birreria Strasbugo di Piazza Municipio insieme ad alcuni artisti del Cafè Chantant; proprio grazie ad uno di questi intraprende la via del teatro. All’inizio si tratta di piccole rappresentazioni, serate musicali alle terrazze o agli stabilimenti balneari per allietare il borghesi e turisti. Ma, ben presto, questa dimensione comincia a stargli stretta.
LA CRESCITA
La svolta arriva casualmente, quando il baritono Eduardo Missiano lo sente cantare e, talmente entusiasmato dalle qualità di Caruso, decide di portarlo dal maestro Guglielmo Vergine che divenne il suo maestro. Caruso non aveva i soldi per pagarsi le lezioni, ma Vergine crede molto nelle qualità del ragazzo e decide di impartigli le lezioni gratuitamente, pretendendo, però, il 25% dei suoi guadagni per i primi 5 anni di carriera nel caso in cui venisse scritturato. All’inizio la sua voce era bella ma ancora “acerba”, priva di qualsiasi nozione tecnica. Ed è in questo frangente che comincia ad affiorare il suo carattere, una grande assiduità nello studio, precisione e tenacia che lo porteranno a diventare il più grande di tutti i
tempi. In quel periodo Enrico fu costretto ad affrontare la morte per tubercolosi della madre, mentre il padre si risposa con Maria Castaldi, che riesce comunque a fare breccia nel cuore di Caruso, il quale ritrova la voglia
per continuare la sua avventura nel mondo dello spettacolo. Nel 1894 le lezioni si interrompono perché Enrico viene chiamato nell’esercito a Rieti, ma, fortunatamente, dopo solo un mese e mezzo viene congedato grazie al maggiore Magliati che, appassionato di musica, decide di non rovinare il talento che aveva di fronte con le fatiche della vita militare e, sfruttando le leggi del tempo, lo fa sostituire dal fratello maggiore Giovanni, permettendogli di continuare gli studi. Caruso si sente pronto per l’esordio e il maestro Vergine riesce a farlo scritturare al Teatro Mercadante per la Mignon di Ambroise Thomas, ma, dopo le prove, non viene accettato. Successivamente si ritrova a dover fronteggiare un altro fiasco al San Carlo di Napoli, dove viene chiamato
per sostituire un tenore ammalato nel Faust di Gounod, ma l’emozione e l’inesperienza non gli permettono di terminare l’esibizione. Fortunatamente non deve aspettare molto per una seconda occasione.
L'INIZIO DELLA CARRIERA
Enrico non si demoralizza e riesce a ricavare dalle delusioni la forza e gli insegnamenti per proseguire gli studi e per intraprenderne di nuovi, esercitandosi per ore e ore ogni giorno. La sua carriera comincia ufficialmente nel 1895 al Teatro Nuovo di Napoli con una parte ne "L’amico Francesco" di Domenico Morelli, un Napoletano benestante che aveva le risorse economiche per portare in scena le proprie opere. Durante questa recita, Enrico viene notato dall’impresario Ferrara che decide di Portarlo a Caserta e scritturarlo per l’intera stagione teatrale. Da qui, Caruso inizia il suo cammino; canta il Faust, la Cavalleria Rusticana, il Rigoletto, la Traviata, la Gioconda con ottimi risultati. Così viene chiamato anche per delle esibizioni al Cairo e nel 1897 comincia a girare per i teatri d’Italia. Durante un’esibizione a Salerno, Caruso conosce il direttore d’orchestra Vincenzo Lombardi che gli offre la possibilità di partecipare alla stagione estiva a Livorno. Questa nuova opportunità lavorativa si rivela interessante soprattutto
per le conseguenza che ha nella vita sentimentale del tenore napoletano. Infatti, in questo periodo conosce il soprano Ada Giacchetti che, sebbene sia già sposata con un figlio, ha con lui una relazione di 11 anni, dalla quale nascono Rodolfo (1898) ed Enrico jr (1904). L’amore, però, finirà bruscamente quando la donna decide di scappare con l’autista cercando anche di estorcere del denaro a Caruso. La vicenda finisce davanti ad un giudice che condanna la Giacchetti a tre mesi di carcere e 100 lire di multa. Nel 1898 si registra l’esordio al Teatro Lirico di Milano al quale seguì, nel 1899, il primo importante ingaggio all’estero, a Pietroburgo in Russia e, poi, a Lisbona, Roma, Montecarlo, Londra e Buenos Aires.
LA DELUSIONE DI NAPOLI
Nel 1900 Caruso ritorna alla Scala nella Boheme diretta da Arturo Toscanini, ma è il 1901 che porta una drammatica svolta alla sua carriera. Finalmente viene scritturato per cantare Teatro San Carlo di Napoli, il 30 dicembre, dove interpreta “Elisir d’amore” e “Manon”. Durante l’esibizione, però, viene tradito dall’emozione e non riesce a cantare al meglio. Deluso dalle reazioni e dalle critiche, anche se il pubblico più "popolare" lo aveva comunque acclamato, Caruso decide che non avrebbe mai più cantato nella sua città. Il contratto che aveva stipulato prevedeva anche altre apparizioni dove le cose vanno in modo ben diverso, tanto da ottenere altri ingaggi come quelli al Covent Garden di Londra e al
Metropolitan di New York. Ma, nonostante la rivincita, la decisione di lasciare Napoli è ormai presa e, quando nel 1904, decide di comprare una casa in Italia, la scelta cade sulla provincia di Siena, più precisamente sul comune di Lastra a Signa dove compra, restaura e arricchisce con numerose opere d’arte Villa di Bellosguardo. Tutto questo, però, non vuol dire che Caruso decida di rinnegare le sue origini, anzi, torna a Napoli spesso, ma si rifiuta sempre di cantare. Anche quando viene chiamato per beneficenza decide di donare solamente del denaro mantenendo fede al suo giuramento. Napoli rimane comunque la città in cui il tenore decide di trascorrere gli ultimi giorni della sua vita.
L'INIZIO DEL MITO
Il 1902 segna un’altra tappa fondamentale per la sua carriera e, forse, anche per la storia della musica. Caruso decide di incidere di incidere dei dischi, cimentandosi con una nuova tecnologia che ancora nessun artista aveva sperimentato, probabilmente spaventato dalla possibilità che la registrazione potesse modificare la voce. E così, l’11 aprile, a Milano, incide dieci dischi con arie e opere per la casa discografica inglese “Gramophone & Typewriter Company”. La sua popolarità contribuisce non poco allo sviluppo dell’industria discografica che grazie a lui riesce a convincere gli scettici, ma anche la facilità con la quale potevano essere distribuiti e venduti i dischi favorisce il crescere della popolarità di Caruso. Nel 1903 il tenore napoletano sbarca finalmente in America per l’esordio al Metropolitan di New York da dove parte la sua carriera internazionale. All’inizio il successo raggiunto non è così travolgente come lo stesso Caruso avrebbe voluto, soprattutto perché la lirica d’oltre oceano vive ancora nel ricordo dei miti del passato. Il suo obiettivo è quello di essere considerato il più grande, ma i tempi non sono ancora maturi. Prima di ritornare si esibisce a Parigi, Barcellona e Londra: un trionfo. Spinto da questo successo interpreta “Aida” al Metropolitan dove, finalmente, diventa definitivamente “il grande Caruso”. La sua forza non è solo quella di aver conquistato la critica e gli addetti ai lavori, ma di aver tradotto la canzone lirica in emozioni per il pubblico. Proprio questo rende la sua musica un fattore rilevante in ambito sociale, soprattutto per quegli emigranti che si identificano in lui. La sua fama cresce di giorno in giorno e già nel 1904 arriva un contratto importante con la casa discografica RCA Victor, primo italiano ad avere questo onore. Tra il 1905 e il 1920 Caruso è il protagonista incontrastato della scena lirica di New York. Partecipa a più di 600 rappresentazioni, cimentandosi con tutte le opere liriche più belle e più famose. Inoltre, organizza anche dei concerti per un pubblico più vasto e meno colto, in cui esegue un vasto repertorio di canzoni napoletane, tra le quali troviamo anche “Tiempo antico”, unico brano della sua discografia scritto da lui. In questi anni raggiunge una popolarità incredibile e, nel 1918, Caruso viene chiamato ad Hollywood per girare due film (“My Cousin” e “The splendid romance”) che, però, non furono apprezzati. La sua storia d’amore con Ada Giacchetti termina e nel 1909 incide un disco con 22 canzoni napoletane, tra le quali anche “Core ‘ngrato”, che si ispiravano o descrivevano i suoi tormenti affettivi. Nello stesso anno qualcosa sembra cominciare ad incrinarsi nel fisico di Caruso, che è costretto a sottoporsi ad un operazione per una laringite ipertrofica. Tutto questo, però, non ha conseguenze sulla sua turnée, durante la quale, riesce anche a trovare il tempo per concerti di beneficenza durante la guerra. Finalmente, nel 1918 Ada Giacchetti, pur rimanendo il grande amore della sua vita, viene rimpiazzata da Dorothy Benjamin, una ragazza di vent’anni più giovane che Caruso sposa il 28 agosto 1918 e con la quale avrà una figlia di nome Gloria.
LA MORTE PREMATURA
La sua carriera procede senza intoppi fino agli anni ’20, quando cominciano ad affiorare i primi sintomi del suo male. L’insonnia e i mal di gola si fanno sempre più pressanti, finché nel 1920 è costretto ad interrompere la rappresentazione di “Elisir d’amore” perché colpito da un’emorragia. Inevitabile il ricovero e l’intervento chirurgico che lo costringono ad un periodo di convalescenza. Caruso approfitta della situazione per ritornare a Napoli nel giugno del 1921, alloggiando al Grand Hotel Excelsior Vittoria di Sorrento. Il male sembra vinto, ma il 26 luglio ha una ricaduta a cui segue una febbre molto alta. I dottori capiscono che i medici americani non avevano capito quale fosse il vero male che affliggeva Enrico, gli consigliano un’altra operazione d’urgenza, ma le condizioni del tenore, al quale viene diagnosticato un ascesso sub-frenico tra diaframma e fegato, si aggravano ulteriormente rendendone impossibile l’intervento chirurgico. Caruso viene trasferito all’Hotel Vesuvio a Napoli, dove muore il 2 agosto 1921 alle 9.07, all’età di 48 anni.
IL CONTRIBUTO ALLA MUSICA NAPOLETANA
I funerali furono celebrati in una Piazza del Plebiscito stracolma, ma mentre in America il mito di Caruso (che era già forte quando lui era in vita) cresceva sempre di più, a Napoli il suo ricordo si affievoliva col tempo. Nel 1973 viene organizzato un concerto al San Carlo in suo onore, mentre nel 1976 viene costruito un suo busto in Piazza Ottocalli, nei pressi di quei vicoli che l’avevano visto crescere. Attenzioni minime e tardive, forse frutto di una lacerazione insanabile con la città dopo le critiche ai suoi esordi, mentre negli Stati Uniti era già nato “The Enrico Caruso Museum of America” grazie ad Aldo Mancusi. Nonostante Caruso si sia sempre rifiutato di cantare a Napoli a seguito della cocente delusione del 1901, il suo attaccamento alla città e alle sue origini rimane intatto e nei primi anni del 900, pur essendo un cantante di musica lirica, non dimentica mai di essere figlio della tradizione dei “posteggiatori” e contribuisce in maniera decisiva alla diffusione della canzone napoletana nel mondo, soprattutto grazie alla possibilità che gli dava l’incisione dei dischi. Fuori dai salotti e dai teatri, Caruso cantava sempre canzoni Napoletane tra cui “Torna a Surriento” e “Io te vurria vasà”. Tutti i più grandi artisti e compositori sono stimolati dalla sua presenza e componevano canzoni continuamente, persino D’Annunzio si cimentò scrivendo “’A vucchella”. Porta nel mondo tutte le canzoni napoletane nascenti che inserisce nel suo repertorio, dando spazio ad artisti emergenti come E. A. Mario, Tagliaferri e Capaldo. Strappava ingaggi molto elevati per cantare nei teatri e nei salotti, ma aveva sempre tempo per cantare gratis canzoni napoletane allietando gli emigranti. La prima canzone incisa su disco nel 1909 è “Mamma mia che vò sapè”, scritta da F. Russo e musicata da E. Nutile. Insieme a questa ci sono altre 21 canzoni tra le quali “Canta pe mme”, “Guardanno ‘a luna”, “Sultanto a te”, “Scordame”, “Uocchie Celeste”, “Pecché”, “Tu ca nun chiagne”, “Core ‘ngrato” e “Tiempo antico” che, come detto in precedenza, è l’unica scritta totalmente da lui.

Era lu tiempo antico
Pe' me lu paraviso
ca sempe benedico
pecché cu nu surriso
li braccia m'arapive
e 'mpietto me strignive.
Chino 'e passione
currevo 'mbraccio a te.
Ma tu ca sì 'nfamona
tu te cuffiave 'e me.

Tu te ne sì gghiuta
cu n'auto 'nfantasia
e a chesta vita mia

'na fossa aje araputo!

Di essa è disponibile anche un'altra versione che è riportata di seguito:

Era lu tiempo antico

comm'era 'o Paraviso,

ca sempe benedico,

li bracce m'aparive 'mpietto m'astrignive.

Chine de passione
currevo 'mbraccio a tte.

Ma tu ca si 'nfamona,

cu tutt'e dduje uocchie e a vedè!

Ma chillu tiempo antico

te si scurdate, ojnè?

Penzanno 'o tiempo antico,

che ne sarrà de me?

Penzanno sempe o tiempo antico,

che ne sarrà de me?

OMAGGI E DEDICHE
Alla figura di Caruso sono dedicate molte canzoni. La più famosa è sicuramente quella composta da Lucio Dalla nel 1986. In quell’anno, il cantante bolognese si trovava a Sorrento, ma, a causa di un guasto alla barca è stato costretto a fermarsi e ad alloggiare al Grand Hotel Excelsior Vittoria, nel quale è disponibile solo la suite Caruso. Inspirato dal golfo di Sorrento e dal luogo in cui si trovava, totalmente dedicato al tenore, compone "Caruso" che, oltre ad essere una delle sue più belle canzoni, è sicuramente una pagina immortale della musica italiana in patria e nel mondo.

Oltre alle canzoni, al tenore napoletano sono dedicati dei musei:

Museocaruso
Villa Caruso – Bellosguardo
The Enrico Caruso Museum of America
Ristorante Museo Caruso

‘A canzone d’ ‘e ccanzone

‘A CANZONE D’ ‘E CCANZONE

musicaNicola Valente testoLibero Bovio data1921

‘A canzone d’ ‘e ccanzone,
saglie a ll’alba da ‘e ciardine…
fa arapí cchiù ‘e ‘nu balcone,
fa cantá tutt’ ‘e mmarine…
La canzone delle canzoni
sale all’alba dai giardini…
fa aprire più di un balcone,
fa cantare tutte le spiagge…
Va p’ ‘o monte e torna â
mare
quanno, lenta, scenne ‘a sera…
quanno Napule mme pare
‘na canzone ‘e Primmavera…
Va per il monte e torna al
mare
quando, lenta, scende la sera…
quando Napoli mi pare
una canzone di Primavera…
Tutto canta…
Tutto chiagne e tutto canta
da ‘a matina, da ‘a matina ‘nfin’â sera…
Che paese, che paese cantatore!
Ma ‘a canzone d’ ‘e ccanzone,
ch’hann’ ‘a fá? E’ Napulitana!
Tutto canta…
Tutto piange e tutto canta
dalla mattina, dalla mattina fino alla sera…
Che paese, che paese cantatore!
Ma la canzone delle canzoni,
che devono fare? E’ Napoletana!
A canzone d”e ccanzone
è cchiù doce ‘e ‘nu suspiro…
sta ‘int’ê vvoce d”a stagione,
sta ‘int’a ll’aria ca respiro…
La canzone delle canzoni
è più dolce di un sospiro…
sta nelle voci dell’estate,
sta nell’aria che respiro…
E chi canta? E va’
andivina…
Canta ‘o sole, e ll’accumpagna
tutt’ ‘azzurro d”a marina,
tutt’ ‘o vverde d”a campagna.
E chi canta? E vai a
indovinare…
Canta il sole, e l’accompagna
tutto l’azzurro della marina,
tutto il verde della campagna.
Tutto canta…
………………….
Tutto canta…
………………….
‘A canzone d’ ‘e ccanzone
sta ‘int’a ll’uocchie ‘e nénna mia
ca mme guarda e, senza suone,
mette ‘a mùseca e ‘armunía…
La canzone delle canzoni
sta negli occhi dell’amore mio
che mi guarda e, senza suoni,
mette la musica e l’armonia…
E cu ll’uocchie canta e
dice:
“Niente tengo” e niente tène
“tengo sulo, e so’ felice,
ninno mio ca mme vo’ bene!”
E con gli occhi canta e
dice:
“Niente tengo” e niente tiene
“ho solo, e sono felice,
il mio amore che mi vuole bene!”
Tutto canta…
………………….
Tutto canta…
………………….

Tra le interpretazioni di questa canzone, ricordiamo quella di Giuseppe Godono.

‘A canzone d’ ‘a felicità

‘A CANZONE D’ ‘A FELICITÀ

musicaErnesto Tagliaferri testoErnesto Murolo data1930

‘Na bella luggetella a
Marechiaro,
cu ‘a tènna e ‘a luce elettrica p’ ‘a sera;
Teresenella cu ‘e bbraccelle ‘a fore,
s’abbraccia ‘nu palummo e guarda ‘o mare…
e, a ll’aria fresca ‘e ‘nu tramonto d’oro,
‘na voce ‘nterr’â rena ca suspira:
Una bella terrazzina a
Marechiaro
con la tenda e la luce elettrica per la sera;
Teresina con le braccia di fuori,
abbraccia un colombo e guarda il mare…
e, all’aria fresca di un tramonto d’oro,
una voce sulla sabbia che sospira:
“Glu-glu-glu…
comm’ô palummo i’ so’
e ‘a notte, ”mbracci’a me,
‘na turturella sî…”
Canta! Canta!
Canta chi vò cantá…
Chest’è ‘a canzone d”a felicitá.
“Glu-glu-glu…
come il colombo io sono
e la notte, in braccio a me,
sei una tortorella…”
Canta! Canta!
Canta chi vuole cantare…
Questa è la canzone della felicità.
‘Nu juorno, ‘nu vicchiotto cu
‘e denare,
cercaje a Teresenella pe’ mugliera…
Dicette ‘a mamma d’essa: “Quant’onore…”
E ‘o pate, ‘a copp”a mano: “Che piacere!…”
Ma, ‘e notte, se sentette dint’ô scuro,
cchiù doce, ‘a stessa voce,
‘mmiez’ô mare:
Un giorno, un vecchietto
con i soldi,
chiese Teresina come moglie…
Disse sua madre: “Quant’onore…”
E il padre, spontaneamente: “Che piacere!…”
Ma, di notte, si sentì nell’oscurità,
più dolce, la stessa voce,
in mezzo al mare:
“Glu-glu-glu…
comm’ô palummo i’ so’
e tu, abbracciata a me,
‘na turturella sî…”
Canta! Canta!
Canta chi vò cantá…
Chest’è ‘a canzone d’ ‘a felicitá.
“Glu-glu-glu…
come il colombo io sono
e la notte, in braccio a me,
sei una tortorella…”
Canta! Canta!
Canto chi vuole cantare…
Questa è la canzone della felicità.
‘A sera d’ ‘a
parola…Ammore! Ammore!
‘A sposa scumparette… e bonasera!>
Sudava friddo ‘o viecchio e, p”a tintura,
s’era ‘nguacchiata ‘a faccia nera nera!…
E pe Surriento, sott’â luna chiara,
felice, suspiravano dduje core:
La sera della promessa…
Amore! Amore!
La sposa scomparve… e buonasera!
Sudava freddo il vecchio e, per la tintura,
si era sporcata la faccia nera nera!…
E per Sorrento, sotto la luna chiara,
felici, sospiravano due cuori:
“Glu-glu-glu…
…………………..
“Glu-glu-glu…
…………………..

La canzone divenne popolare grazie alle cantanti Elvira Donnarumma e Gilda Mignonette. Successivamente, anche Sergio Bruni e Roberto Murolo proposero la loro interpretazione.

‘A canzone ‘e Napule

‘A CANZONE ‘E NAPULE

musicaErnesto De Curtis testoLibero Bovio data1912

Mme ne vogl’jí a ll’America,
ca sta luntana assaje:
Mme ne vogl’jí addó maje
te pòzzo ‘ncuntrá cchiù.
Me ne voglio andare in
America,
che è lontana assai:
me ne voglio andare dove mai
ti posso più incontrare.
Mme voglio scurdá ‘o cielo,
tutt”e ccanzone…’o mare,
mme voglio scurdá ‘e Napule,
mme voglio scurdá ‘e mámmema,
mme voglio scurdá ‘e te.
Mi voglio dimenticare il
cielo,
tutte le canzoni… il mare,
mi voglio dimenticare di Napoli,
mi voglio dimenticare di mia madre,
mi voglio dimenticare di te.
Nun voglio cchiù nutizie
d’amice e de pariente…
Nun voglio sapé niente
e chello ca se fa!
Non voglio più notizie
di amici e di parenti…
Non voglio sapere niente
di quello che si fa!
Mme voglio scurdá ‘o cielo,
…………………………………..
Mi voglio dimenticare il cielo,
…………………………………..
Ma quanto è bella Napule,
Napule è bella assaje!
Nun ll’aggio vista maje
cchiù bella ‘e comm’a mo!
Ma quanto è bella Napoli,
Napoli è bella assai!
Non l’ho vista mai
più bella di com’è adesso.
Comme mme scordo ‘o cielo?
Tutt”e ccanzone…’o mare?
Comme mme scordo ‘e Napule?
Comme mme scordo ‘e mámmema?
Comme mme scordo ‘e te?
Come mi dimentico il cielo?
Tutte le canzoni… il mare?
Come mi dimentico di Napoli,
Come mi dimentico di mia madre?
Come mi dimentico di te?

La canzone divenne famosa grazie all’interpretazione del cantante Mario Massa, per poi diffondersi nel repertorio di altri artisti come Nunzio Gallo. Più recenti, invece, le interpretazioni di Peppino Gagliardi, Roberto Murolo e Consiglia Licciardi.

Addò me vasa Rosa

ADDÓ ME VASA ROSA

musicaRaffale Segrè testoE. A. Mario1 data1907

A Capemonte, ‘ntiempo ‘e
primmavera,
quanno pe ll’aria va cantanno Ammore
e da luntano se fa bello ‘o mare,
ll’albere attuorno fanno cchiù friscura,a Capemonte ‘ntiempo ‘e primmavera.
A Capodimonte, in tempo di
primavera,
quando nell’aria canta Amore
e da lontano si fa bello il mare,
gli alberi attorno fanno più ombra,a Capodimonte in tempo di primavera.
E Ammore, e Ammore, e
Ammore,
‘mmiez’a ll’albere se corre a fá ‘na casa,
se corre a fá ‘na casa,
addó ce sta ‘na stradulella ‘e scesa,
addó mm’abbraccia, addó mme vasa Rosa.Addó mm’abbraccia e addó mme vasa Rosa.
E Amore, e Amore, e Amore,
tra gli alberi si corre a fare una casa,
si corre a fare una casa,
dove c’è una stradina in discesa,
dove mi abbraccia, dove mi bacia Rosa.Dove mi abbraccia e dove mi bacia Rosa.
Figliole cuntignose e
aggraziate,
vuje ca nun date vase e nun n’avite,
si ‘e core vuoste se so’ fatte ‘e preta,
a Capemonte, Ammore ‘e ‘nfoca, ‘e sceta,figliole cuntignose e aggraziate.
Ragazze pudiche e
aggraziate,
voi che non date baci e non ne avete,
se i vostri cuori sono diventati di pietra,
a Capodimonte, Amore li infuoca, li sveglia,ragazze pudiche e aggraziate.
E Ammore, e Ammore, e
Ammore,
‘mmiez’a ll’albere s’è ghiuto a fá ‘na casa,
s’è ghiuto a fá ‘na casa,
addó ce sta ‘na stradulella ‘e scesa,
addó mm’abbraccia, addó mme vasa Rosa.Addó mm’abbraccia e addó mme vasa Rosa.
E Amore, e Amore, e Amore,
tra gli alberi è andato a farsi una casa,
è andato a farsi una casa,
dove c’è una stradina in discesa,
dove mi abbraccia, dove mi bacia Rosa.Dove mi abbraccia e dove mi bacia Rosa.
A Capemonte ce sta ‘n’ata
reggia
cu ‘nu balcone, ‘n’ásteco e ‘na loggia.
‘Nu passero ce canta ô mese ‘e maggio
e ‘o core mio ce trase lieggio lieggio.A Capemonte ce sta ‘n’ata reggia.
A Capodimonte c’è un’altra
reggia
con un balcone, un solaio e un terrazzo.
un passero ci canta nel mese di maggio
e il mio cuore ci entra leggero leggero.A Capodimonte c’è un’altra reggia.
E Ammore, E Ammore, E
Ammore,
‘mmiez’a ll’albere s’è ghiuto a fá ‘na casa,
s’è ghiuto a fá ‘na casa,
addó ce sta ‘na stradulella ‘e scesa,
addó mm’abbraccia, addó mme vasa Rosa.Addó mm’abbraccia e addó mme vasa Rosa.
E Amore, e Amore, e Amore,
tra gli alberi è andato a farsi una casa,
è andato a farsi una casa,
dove c’è una stradina in discesa,
dove mi abbraccia, dove mi bacia Rosa.Dove mi abbraccia e dove mi bacia Rosa.

Tra le interpretazioni di questa canzone, ricordiamo quelle di Tullio Pane, Gabriele Vanorio, Dino Giacca e Ferdinando Rubino.
1 E. A. Mario è lo pseudonimo utilizzato dal poeta e compositore Giovanni Ermete Gaeta.

Addò vaje? Chi sape niente…

ADDÓ VAJE? CHI SAPE NIENTE…

musicaPeppino Gagliardi1 testoEdoardo Nicolardi data1974

Addó vaje? Chi sape
niente…
Chesti bbrutte ventecate,
tutt’ ‘e ffronne gialliate,
fanno, ‘a ll’árbere, cadé.
Dove vai? Chi sa niente…
queste brutte ventate,
tutte le foglie ingiallite
fanno, dagli alberi, cadere.
Addó vaje? Chi sape
niente…
Faje tu pure ‘o muleniello,
fronna, fronna ‘e ‘stu lauriello,
dint’a ll’uorto, ‘e faccia a me.
Dove vai? Chi sa niente…
Fai anche tu il mulinello,
foglia, foglia di questo piccolo lauro,
nell’orto, di fronte a me.
E tu saglie, saglie e vuole
e faje ciento capriole.
Nun appena sbatte ‘nterra,
‘n’ata réfola t’afferra.
E tu sali, sali e voli
e fai cento capriole.
Non appena sbatti per terra,
un’altra folata ti afferra.
Addó vaje? Chi sape
niente…
Chi ‘o ppo’ ddí, chi mme risponne?
Addó vanno tanta fronne,
vaje tu pure. E’ overo o no?
Dove vai? Chi sa niente…
Chi può dirlo, chi mi risponde?
Dove vanno tante foglie,
vai anche tu. E’ vero o no?
Addó vaje? Chi sape
niente…
Se cuntrastano dduje viente
e te mméscano cu ciento
e s’ ‘a pigliano cu te.
Dove vai? Chi sa niente…
si scontrano due venti
e ti mischiano con cento
e se la prendono con te.
E tu vaje, saglie e vuole
e faje ciento capriole.
Nun appena sbatte ‘nterra,
‘n’ata réfola t’afferra.
E tu vai, sali e voli
e fai cento capriole.
Non appena sbatti per terra,
un’altra folata ti afferra.
Addó vaje? Chi sape
niente…
Addó vanno tanta suonne,
gialliate comm’ê ffronne,
ch’hê sunnato comm’a me?
Dove vai? Chi sa niente…
Dove vanno tanti sogni,
ingialliti come le foglie,
che hai sognato come me?
Addó vaje? Chi sape
niente…
Addó vanno tanta cose,
cchiù gentile o cchiù preziose?
Vanno e addio. Chi sape addó?
Dove vai? Chi sa niente…
Dove vanno tante cose,
più gentili e più preziose?
Vanno e addio. Chi sa dove?
E tu vaje, saglie e vuole
e faje ciento capriole.
Nun appena sbatte ‘nterra,
‘n’ata réfola t’afferra.
E tu vai, sali e voli
e fai cento capriole.
Non appena sbatti per terra,
un’altra folata ti afferra.

1 La data si riferisce al lavoro del compositore e cantante Peppino Gagliardi che, nel suo album "Quanno figlieto chiagne e vo' cantà, cerca int' 'a sacca... e dalle 'a libbertà", musicò poesie inedite di alcuni dei più importanti poeti napoletani del passato come Nicolardi, Di Giacomo, E. A. Mario, ecc...

‘A canzone d’ ‘e stelle

‘A CANZONE D’ ‘E STELLE

musicaErnesto Tagliaferri testoErnesto Murolo data1928

‘A canzone d’ ‘e stelle,
stasera,
p’ ‘o mare ‘e Napule, voglio cantá…
Doce è ‘o viento… ‘a varchetta è liggiera…
‘nnante Pusilleco mme porta giá…
Giá se sentono voce e chitarre…
tu, Marí, staje ‘npenziero pe me…
La canzone delle stelle,
stasera,
per il mare di Napoli, voglio cantare…
Dolce è il vento… la barchetta è leggera…
davanti a Posillipo mi porta già…
Già si sentono voci e chitarre…
tu, Maria, stai in pensiero per me…
Senza luna, â riva ‘e mare,
quant’è bello a fá ll’ammore!
‘Mmiez’ê stelle cadute, stasera,
ne teng’una ‘int’ê bbraccia… sî tu!
Senza luna, in riva al
mare,
com’è bello far l’amore!
Tra le stelle cadute, stasera,
ne ho una tra le braccia… sei tu!
Che nuttata d’ammore! Mme
pare
ca tutta Napule canta cu me!
Ciento stelle, sperdute p”o mare…
“bella, annascùnnete” cercano a te…
Ma ‘stu core te tene attaccata,
sulo ‘a morte ce sparte, Marí…
Che nottata d’amore! Mi
sembra
che tutta Napoli canti con me!
Cento stelle, sperdute per il mare…
“bella nasconditi” ti cercano…
Ma questo cuore ti tiene attaccata,
solo la morte ci divide, Maria…
Senza luna, â riva ‘e mare,
…………………………………
Senza luna, in riva al
mare,
…………………………………

Tra le interpretazioni di questa canzone, ricordiamo quelle di Francesco Albanese, Tito Schipa, Gianni Quintiliani, Enzo De Muro Lomanto, Daniele Serra e Roberto Murolo.

‘A cartulina ‘e Napule

‘A CARTULINA ‘E NAPULE

musicaGiuseppe De Luca testoPasquale Buongiovanni data1927

Mm’è arrivata, stammatina,
‘na cartulina:
E’ ‘na veduta ‘e Napule
che mm’ha mannato mámmema…
Mi è arrivata stamattina,
una cartolina:
E’ una veduta di Napoli
che mi ha mandato mia madre…
Se vede tutt’ ‘o Vommero,
se vede Margellina,
‘nu poco ‘e cielo ‘e Napule…
‘ncopp’a ‘sta cartulina!
Si vede tutto il Vomero,
si vede Mergellina,
un po’ di cielo di Napoli…
su questa cartolina!
Napule,
aggio scritto pe te chesta canzone
e, p’ ‘o ricordo ‘e mámmema,
aggio chiagnuto lacreme ‘e passione!
Napoli,
ho scritto per te questa canzone
e, per il ricordo di mia madre,
ho pianto lacrime di passione.
E se vede pure ‘o mare
cu Marechiaro:
mme parla cchiù ‘e ‘na lettera
‘sta cartulina ‘e Napule!
E si vede anche il mare
con Marechiaro:
mi parla più di una lettera
questa cartolina di Napoli.
Che gioja, ‘stu Pusilleco,
‘sta villa quant’è fina…
Comm’è bello ‘o Vesuvio…
che bella cartulina!
Che gioia, questa
Posillippo,
questa villa com’è elegante…
Com’è bello il Vesuvio…
che bella Cartolina!
Napule,
………….
Napoli,
………….
“Comme tu puó stá felice
– mamma mme dice –
luntano tanto ‘a Napule,
luntano tanto ‘a mámmeta?”
“Come puoi essere felice
– mamma mi dice –
tanto lontano da Napoli,
tanto lontano da tua madre?”
E soffro mille spáseme,
‘ncore tengo ‘na spina
quanno cunfronto ‘America
cu chesta cartulina!
E soffro mille tormenti,
nel cuore ho una spina
quando confronto l’America
con questa cartolina!
Napule,
………….
Napule,
………….

Il testo fu scritto a New York da Pasquale Buongiovanni, emigrato negli stati uniti nel 1918. Ispirato da una cartolina di Napoli speditagli dalla madre, scrive i versi di una poesia che, qualche tempo dopo mostra al suo amico musicista Giuseppe De Luca (anche lui emigrante) il quale decide di comporre la melodia. Così, la canzone fu presentata, cantata da Mario Gioia, ad un’audizione presso il Teatro Werba di New York, davanti al produttore Frank Acierno. Quest’ultimo, dopo aver dato il suo parere positivo, decise che ad inciderla fosse la cantante Gilda Mignonette (pseudonimo della cantante napoletana Griselda Andreatini), che contribuì al suo grande successo negli Stati Uniti, in Italia e in Argentina. Nei decenni successivi, altre donne si sono confrontate con questo grande classico, tra cui ricordiamo le interpretazioni Noa, Angela Luce, Maria Nazionale, Giulietta Sacco e Irene Fargo.

‘A casciaforte

‘A CASCIAFORTE

musicaNicola Valente testoAlfonso Mangione data1928

Vaco truvanno ‘na
casciaforte!
E andivinate pe ne fá che?
Non tengo titoli,
non vivo ‘e rendita,
non ci ho un vestito pe’ cuollo a me!
Ma ‘a cascia mi necessita,
pe forza ll’aggi’ ‘a tené!
Sto cercando una
cassaforte!
E indovinate per farne che cosa?
Non ho titoli,
non vivo di rendita,
Non ho un vestito addosso!
Ma la cassa mi serve,
per forza la devo avere!
Ce aggi’ ‘a mettere tutt’
‘e llettere
che mi ha scritto Rosina mia,
‘nu ritratto, formato visita,
d’ ‘a bonanema ‘e zi’ Sufia,
‘nu cierro ‘e capille,
‘nu cuorno ‘e curallo
ed il becco del pappagallo
che noi perdemmo nel ventitré.
Ci devo mettere tutte le
lettere
che mi ha scritto Rosina mia,
un ritratto, formato visita,
della buonanima di zia Sofia,
una ciocca di capelli,
un corno di corallo
e il becco del pappagallo
che noi perdemmo nel ventitré.
Pe-re-pe-re-pe-re-ppe-ré… Pe-re-pe-re-pe-re-ppe-ré…
Sono ricordi che in
cassaforte,
sulo lla dinto t’ ‘e ppuó astipá.
Quando mi privano del companatico,
io ‘ngótto e zitto senza sferrá.
Lo so! La vita è tragica,
ma ‘a cascia… mme ll’hann’ ‘a dá!
Sono ricordi che in
cassaforte,
solo lì dentro li puoi conservare.
Quando mi privano del companatico,
io inghiotto e sto zitto senza rispondere.
Lo so! La vita è tragica,
ma la cassa… me la devono dare.
Ce aggi ‘ ‘a mettere tutt’
‘e llettere
che mi ha scritto Rosina mia,
il mozzone di una steárica,
conficcato nella bugia,
‘na bambola ‘e Miccio,
‘na lente in astuccio
e una coda di cavalluccio
che mi ricorda la meglio etá!
Ci devo mettere tutte le
lettere
che mi ha scritto Rosina mia,
il pezzo di una stearica,
conficcato nella bugia,
una bambola di Miccio,
una lente in astuccio
e una coda di cavalluccio
che mi ricorda la meglio età!
Pa-ra-pa-ra-pa-ra-ppa-rá… Pe-re-pe-re-pe-re-ppe-ré…
Vaco truvanno ‘na
casciaforte!
Ma a qua’ casciere ce ‘o vvaco a dí?
Certe reliquie,
cierti cimeli,
si ‘e ttiene ‘a fore, pònno sparí!
San Casimiro martire,
‘sta cascia, famm’ ‘a vení!
Sto cercando una
cassaforte!
Ma a quale cassiere lo vado a dire?
Certe reliquie,
certi cimeli,
se li tieni di fuori, possono sparire!
San Casimiro martire,
questa cassa, fammi arrivare!
Ce aggi’ ‘a mettere tutt’
‘e llettere
che mm’ha scritto Rosina mia,
‘na cartella, di lire dodici,
rilasciata dall’agenzía,
‘na máneca ‘e sicchio,
‘na crástula ‘e specchio,
‘na corteccia di cacio vecchio
e un fracchesciasso color cakí!
Ci devo mettere tutte le
lettere
che mi ha scritto Rosina mia,
una cartella, di lire dodici,
rilasciata dall’agenzia,
un manico di secchio,
un frammento di specchio,
una crosta di cacio vecchio
e un frac color caki!
Pi-ri-pi-ri-pi-ri-ppi-rí… Pi-ri-pi-ri-pi-ri-ppi-rí…

La canzone fu presentata da Gennaro Pasquariello. Tra gli altri interpreti troviamo Roberto Murolo, Massimo Ranieri e Renato Carosone. Da ricordare anche le versioni Gabriella Ferri e quella dei 24 Grana.

Accarezzame

ACCAREZZAME

musicaPino Calvi testoNisa1 data1954

Stasera, core e core,
‘mmiez’ô ggrano,
addó ce vede sulamente ‘a luna,
io cchiù t’astrégno e cchiù te faje vicino,
io cchiù te vaso e cchiù te faje vasá.
Te vaso, e ‘o riturnello ‘e ‘na canzone,
tra ll’arbere ‘e cerase vola e va.
Stasera, cuore e cuore, in
mezzo al grano
dove ci vede soltanto la luna
più ti stringo e più ti avvicini
più ti bacio e più ti fai baciare.
Ti bacio, e il ritornello di una canzone,
tra gli alberi di ciliegie vola e va.
Accarézzame.
Sento ‘a fronte ca mme brucia.
Ma pecché nun mme dá pace
‘stu desiderio ‘e te?
Accarezzami.
Sento la fronte che mi brucia.
Ma perchè non mi dà pace
questo desiderio di te?
Accarézzame.
Cu ‘sti mmane vellutate,
faje scurdá tutt’ ‘e peccate.
Strígneme ‘mbracci’a te.
Accarezzami.
Con queste mani vellutate,
fai dimenticare tutti i peccati.
Stringimi tra le tue braccia.
Sott’a ‘stu cielo trapuntato
‘e stelle,
mme faje sentí ‘sti ddete ‘int’ê capille.
Voglio sunná guardanno ‘st’uocchie belle,
voglio sunná cu’tte.
Sotto questo cielo
trapuntato di stelle,
mi fai sentire queste dita tra i capelli.
Voglio sognare guardando questi occhi belli,
voglio sognare con te.
Accarézzame.
Sento ‘a fronte ca mme brucia.
Ma pecché nun mme dá pace
‘stu desiderio ‘e te?
Accarezzami.
Sento la fronte che mi brucia.
Ma perchè non mi da pace
questo desiderio di te?
E ‘nu rilorgio lentamente
sona,
ma ‘o tiempo s’è fermato ‘nziem’â luna.
Io mme vurría addurmí ‘mmiez’a ‘stu ggrano
tutta ‘na vita, pe ll’eternitá.
E tu mm’accarezzasse chianu chiano
e mme vasasse, senza mme scetá.
E un orologio lentamente
suona,
ma il tempo si è fermato insieme alla luna.
Io mi vorrei addormentare tra questo grano
tutta una vita, per l’eternità
E tu, mi accarezzeresti piano piano
e mi baceresti, senza svegliarmi.
Accarézzame.
…………………..
Accarezzami.
…………………..

La canzone, premiata durante la Festa di Piedigrotta del 1954, fu pubblicata nell’anno successivo cantata da Teddy Reno. Tra le altre interpretazioni ricordiamo quelle di Ornella Vanoni, Johnny Dorelli, Nilla Pizzi, Gigliola Cinquetti, Fred Bongusto, Roberto Murolo, Peppino di Capri, Iva Zanicchi e Massimo Ranieri.
1 Nisa è lo pseudonimo utilizzato dal paroliere e compositore Nicola Salerno.