Storia del Regno di Napoli – La crisi finanziaria

Città e campagna verso la rivolta
Partendo dall'opposizione
finanziaria la nobiltà cercava di acquisire una maggiore indipendenza nei
confronti del viceré soprattutto per poter esercitare il proprio potere sui
vassalli e sul popolo della città, mirando addirittura alla ricostituzione di un
ceto simile a quello dei servi della gleba. Il peso fiscale gravava quasi tutto
sulla capitale e sul popolo, visto che l'aristocrazia era ormai così potente da,
come abbiamo in precedenza, potersi permettere di rifiutare il pagamento di
alcune tasse. Però alla fine la monarchia riusciva a controllare i nobili che,
una volta ottenuto quello che volevano, non protestavano più. Il ceto sociale
più anarchico era quello dei baroni che rifiutarono sempre le cariche pubbliche
e tentavano di consolidare la propria autorità anche con violenze e fatti di
sangue. Il loro scopo non era quello si contrapporsi al re, ma di mettere in
soggezione tutto l'apparato statale e, una volta entrati anche nella vita
politica della città, riescono a trasmettere al popolo tutti i loro ideali
anarchici che sfoceranno nella rivolta popolare del '47. La rivolta è la più
vasta e la più impetuosa che interessi l'Europa nel 1600 e l'obiettivo primario
è quello dell'indipendenza, di un ridimensionamento del potere feudale e di un
nuovo equilibrio politico e sociale del regno.
Il ruolo della Francia
Durante la guerra dei trent'anni la Francia mise gli occhi sul regno di Napoli.
Già tra il 1640 e il 1646 tentò di promuovere una rivolta degli aristocratici
contro la Spagna promettendo poi la corona di Napoli al principe Tommaso di
Savoia, ma questo tentativo andò a vuoto perché, nonostante la crisi, la nobiltà
riusciva ad acquistare sempre più potere. In questo periodo di tempo la Francia
tentò di corrompere il viceré, duca di Medina, che già da solo si pensava avesse
pensato di impadronirsi del regno; purtroppo queste voci non erano vere e per
non rischiare la Spagna ne ritirò il mandato. Allora si tentò uno sbarco sulle
coste del regno, ma stranamente il popolo si schierò dalla parte del viceré;
infatti l'Eletto del popolo propose che si formasse in città un esercito
popolare per resistere ad un eventuale tentativo di sbarco: avrebbero potuto
essere mobilitati trentamila uomini e il loro comando venne affidato ai reduci
delle guerre nelle Fiandre, in Lombardia e in Germania. In un solo giorno furono
formate 50 “bellissime compagnie” le quali, oltre ad avere in seguito un ruolo
determinante nella rivolta del 1647, riuscirono a sorpresa a respingere la
flotta francese che era giunta nel golfo di Napoli. Secondo Mazzarino,
l'iniziativa e il ruolo decisivo nella lotta per la liberazione dovevano essere
esclusivamente assunti dal popolo di Napoli, mentre la Francia doveva solo
incoraggiarlo e sostenerlo. Infatti, il suo tentativo di sbarco non era dettato
dalla voglia di un'invasione, ma serviva semplicemente per ostacolare per un po'
il flusso delle asistencias verso la Spagna. Per suscitare la rivolta Mazzarino
riuscì, con un secondo tentativo, a conquistare alcuni presidi in Toscana e a
dare il via ad alcune congiure. La rivolta popolare del '47 era stata
pronosticata dai Francesi, ma loro puntavano, per giungere alla conquista del
potere, esclusivamente ad una congiura nobiliare; l'occasione si presentò grazie
ad un agente sabauda, l'abate Paolucci, e ad un conte torinese, Corvo di
Saluzzo, che progettarono, approfittando della confusione nella capitale, di
uccidere il viceré. Prima che poterono concludere il loro tentativo, furono
arrestati e Mazzarino rinunciò definitivamente alla possibilità di conquistare
il regno di Napoli.
La rivolta del 1647: Masaniello
Masaniello, il cui vero nome era Tommaso Aniello d'Amalfi, nacque nel 1620; era
il garzone di un pescivendolo nel popolare quartiere del Mercato e fu
imprigionato più volte per le sue proteste e per contrabbando di pesce; conobbe
in carcere Vitale, un seguace di Giulio Genoino, e poi il Genoino stesso, già
protagonista dei tumulti antinobiliari napoletani del 1620 e fautore di una
riforma del governo cittadino che attribuisse alla parte "popolare" (piccoli
mercati, artigiani ecc.) peso paritetico di voti nei confronti delle "piazze
nobiliari". Vitale e Genoino videro in lui l'agitatore capace, anche per
ambizione, di trascinare il popolo alla rivolta e infatti il 7 luglio 1647 una
semplice dimostrazione di protesta , capitanata da Masaniello contro nobili e
speculatori, per una gabella da poco imposta sulla frutta sfociò, nel clima di
crisi e di debolezza del governo spagnolo, in una rivolta generalizzata. La
sommossa indusse alla fuga il viceré duca d'Arcos e provocò sommari giudizi
popolari contro appaltatori e incettatori, ponendo di fatto la città sotto il
controllo della plebe napoletana e di Masaniello, cui si unì, in questa prima
fase dei tumulti, lo stesso popolo "civile" guidato da Genoino. Furono elaborate
nuove tabelle dei prezzi e varata una riforma amministrativa e militare con la
costituzione di compagnie di popolani per "ottine"; inoltre la mediazione
dell'arcivescovo di Napoli, cardinale Filomarino la risoluzione del viceré nel
cercare un accordo, e la stessa tendenza dei "civili" a consolidare i risultati
della ribellione senza porre in discussione il dominio spagnolo, come voleva
l'ideale di monarchia popolare, spianarono la via a una serie di "capitoli"
accettati dal viceré che accoglievano le tradizionali richieste "popolari" sul
governo cittadino, e sancivano l'abolizione delle gabelle, di fatto cadute nei
giorni delle sommosse. Masaniello, sfuggito a un attentato da parte dei sicari
di uno dei più potenti feudatari del regno, il duca di Maddaloni, e nominato
"capitano generale del fedelissimo popolo di Napoli", tenne tuttavia viva
l'agitazione della plebe in attesa dell'approvazione dei capitoli da parte di
Madrid, divenendo così un ostacolo obiettivo sia alla politica del d'Arcos, di
Genoino e del ceto "civile", sia al desiderio di pacificazione di artigiani e
piccoli commercianti, preoccupati per le loro attività. Abbandonato dai suoi
fautori, resosi colpevole di stravaganze ed eccessi, Masaniello viene
assassinato il 16 luglio del 1647 da sicari del duca d'Arcos nella chiesa del
Carmine dove si era rifugiato. I suoi solenni funerali furono il primo atto
della fase antispagnola e antifeudale della rivolta che dilagò da Napoli nelle
province. Masaniello divenne un eroe popolare, simbolo di libertà nel suo secolo
e dopo, come testimonia la sua grande celebrazione letteraria e teatrale. Alla
fine rimasero pochi gruppi a sostenere la congiura, speranzosi in un intervento
dei Francesi che, però, non arrivò mai a causa della rinuncia del Mazzarino.
La ripresa del dominio spagnolo
Ucciso Masaniello le forze popolari riuscirono a tenere in sacco per nove
mesi quelle degli spagnoli, che rientrarono in città solo il 5 aprile 1648,
ma manifestarono molta confusione di idee e scarse prospettive politiche, e
non seppero instaurare alcun rapporto con le masse rurali contemporaneamente
insorte in molte province del regno. La turbamento provocato
dall'insurrezione si aggiunge nell'estate del 1656 una rovinosa epidemia di
peste. Essa ridusse di oltre la metà la popolazione di Napoli, che solo dopo
sei o sette decenni tornò alla precedente dimensione demografica. Decadde in
questo periodo quel tanto di importanza manifatturiera che in qualche campo
la città aveva acquistato oltre l'ambito locale; e più che mai assoluto fu
il predominio degli stranieri (ormai soprattutto inglesi e francesi) nella
sua vita economica e commerciale. Napoli rimase un grande polo di
concentrazione e di consumo della rendita fondiaria del regno, canalizzata
verso di essa dallo stato, dall'aristocrazia feudale, dai proprietari
fondiari che vi risiedevano, dalle fortune di commercianti e di
professionisti. Questi ultimi prevalevano ormai anche fra i ceti che
partecipavano al governo della città. Con questa fisionomia Napoli superò
senza grandi sbalzi la crisi dinastica della successione spagnola tra il
1700 e il 1707, quando passò sotto la sovranità degli Asburgo di Vienna , e
il successivo riconoscimento del regno come potenza indipendente sotto Carlo
di Borbone nel 1734.

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