Maschio Angioino o Castel Nuovo a Napoli
Storia e descrizione
La costruzione dell’arco trionfale, in marmo, fu voluta da Alfonso d’Aragona per celebrare la conquista del regno di Napoli, avvenuta nel 1443, i cui lavori di realizzazione rientrarono in quelli di rimodernamento e ristrutturazione dell’intero castello. Inizialmente, l’idea del sovrano era quella di realizzare un monumento isolato, come quelli degli imperatori romani, ma per paura che questo potesse essere danneggiato durante guerre o rivolte, decise di proteggerlo incastonandolo tra le due torri all’ingresso, prima della porta bronzea.
Per l’esecuzione dell’opera, vero primo contributo di Napoli al rinascimento italiano, furono chiamati a Napoli numerosi artisti, sia aragonesi, come Bartolomeo Prats, Antonuo Frabuch e Antonio Gomar, sia Italiani, come Gioviano Pontano, Lorenzo Valla, Anotnio Beccadelli (detto il Panormita), Francesco Laurana e Domenico Gagini. Ma la collaborazione al progetto non si limitò a questi nomi, visto che furono coinvolti anche Pere Johan, Guillerm Sagrera e Pietro di Martino da Milano.
Una prima proposta fu elaborata da Antonio di Puccio Pisano, noto come Pisanello e attivo a Napoli dal 1449, che prevedeva due arcate decorate sovrapposte, incorniciate da colonne e archi a sesto acuto, tutti elementi tipici dell’architettura gotica. Successivamente, Guillermo Sagrera e Pietro da Milano aggiornarono il progetto aggiungendo le novità introdotte dall’architettura rinascimentale e migliorando i riferimenti a quella romana grazie alle recenti scoperte archeologiche.
Tra gli scultori più attivi fu sicuramente Francesco Laurana, autore di molte parti del trionfo regale, della Giustizia, nei rilievi raffiguranti l’ambasceria tunisina e i trombettieri a cavallo. Insieme a lui anche artisti di scuola donatelliana (Antonio di Chellino e Isaia da Pisa), lombarda (Paolo Taccone e Pietro da Milano), ticinese (Domenico Gagini) e fiammingo borgognone (Pere Joan), che contribuirono alla contaminazione stilistica dell’opera, spaziando dal rinascimento toscano alle tendenze d’oltralpe e Veneziane, tutte volte alla riscoperta della classicità.
All’inizio dei lavori, nel 1452, vi lavora il Laurana con Pietro da Molano e Paolo Romano. Due anni dopo si aggiunsero anche Isaia da Pisa e Andrea dell’aquila, poi, nel 1457, Antonio di Chellino e Domenico Gagini, cosicchè i lavori terminarono intorno al 1458, per poi riprendere ancora tra il 1465 e il 1471.
L’arco, come detto, celebrava il trionfo di Re Alfonso, raffigurando, con la tecnica del rilievo, il suo ingresso trionfale in città, avvenuto il 26 febbraio del 1443. Il sovrano è raffigurato al centro dell’arco inferiore, seduto su di un carro aperto, trainato da cavalli e circondato dalla sua corte, in cui spicca la Fortuna, dai capitani e dai grandi ufficiale del regno. L’arco superiore, invece, che il sovrano voleva venisse realizzato da Donatello in persona, fu dotato di una serie di nicchie, sormontate da un timpano ad arco, in cui si trovano le statue delle quattro virtù (Temperanza, Giustizia, Fortezza e Magnanimità). In alto, un timpano semicircolare con altre sculture raffiguranti figure di fiumi e, in cima, la statua di San Michele.
Sotto l’arco più basso, invece, furono scolpiti dei medaglioni ottagonali che rappresentano, come buon auspicio, l’incontro tra vita terrena e quella spirituale. All’interno degli ottagoni, infatti, troviamo 28 serafini, emblemi di sapienza e carità, mentre il ciclo della vita è simboleggiato dalla presenza dei fiori, del corno dell’abbondanza e da un leone, simbolo dell’acqua e della vita.
Per l’esecuzione dell’opera, vero primo contributo di Napoli al rinascimento italiano, furono chiamati a Napoli numerosi artisti, sia aragonesi, come Bartolomeo Prats, Antonuo Frabuch e Antonio Gomar, sia Italiani, come Gioviano Pontano, Lorenzo Valla, Anotnio Beccadelli (detto il Panormita), Francesco Laurana e Domenico Gagini. Ma la collaborazione al progetto non si limitò a questi nomi, visto che furono coinvolti anche Pere Johan, Guillerm Sagrera e Pietro di Martino da Milano.
Una prima proposta fu elaborata da Antonio di Puccio Pisano, noto come Pisanello e attivo a Napoli dal 1449, che prevedeva due arcate decorate sovrapposte, incorniciate da colonne e archi a sesto acuto, tutti elementi tipici dell’architettura gotica. Successivamente, Guillermo Sagrera e Pietro da Milano aggiornarono il progetto aggiungendo le novità introdotte dall’architettura rinascimentale e migliorando i riferimenti a quella romana grazie alle recenti scoperte archeologiche.
Tra gli scultori più attivi fu sicuramente Francesco Laurana, autore di molte parti del trionfo regale, della Giustizia, nei rilievi raffiguranti l’ambasceria tunisina e i trombettieri a cavallo. Insieme a lui anche artisti di scuola donatelliana (Antonio di Chellino e Isaia da Pisa), lombarda (Paolo Taccone e Pietro da Milano), ticinese (Domenico Gagini) e fiammingo borgognone (Pere Joan), che contribuirono alla contaminazione stilistica dell’opera, spaziando dal rinascimento toscano alle tendenze d’oltralpe e Veneziane, tutte volte alla riscoperta della classicità.
All’inizio dei lavori, nel 1452, vi lavora il Laurana con Pietro da Molano e Paolo Romano. Due anni dopo si aggiunsero anche Isaia da Pisa e Andrea dell’aquila, poi, nel 1457, Antonio di Chellino e Domenico Gagini, cosicchè i lavori terminarono intorno al 1458, per poi riprendere ancora tra il 1465 e il 1471.
L’arco, come detto, celebrava il trionfo di Re Alfonso, raffigurando, con la tecnica del rilievo, il suo ingresso trionfale in città, avvenuto il 26 febbraio del 1443. Il sovrano è raffigurato al centro dell’arco inferiore, seduto su di un carro aperto, trainato da cavalli e circondato dalla sua corte, in cui spicca la Fortuna, dai capitani e dai grandi ufficiale del regno. L’arco superiore, invece, che il sovrano voleva venisse realizzato da Donatello in persona, fu dotato di una serie di nicchie, sormontate da un timpano ad arco, in cui si trovano le statue delle quattro virtù (Temperanza, Giustizia, Fortezza e Magnanimità). In alto, un timpano semicircolare con altre sculture raffiguranti figure di fiumi e, in cima, la statua di San Michele.
Sotto l’arco più basso, invece, furono scolpiti dei medaglioni ottagonali che rappresentano, come buon auspicio, l’incontro tra vita terrena e quella spirituale. All’interno degli ottagoni, infatti, troviamo 28 serafini, emblemi di sapienza e carità, mentre il ciclo della vita è simboleggiato dalla presenza dei fiori, del corno dell’abbondanza e da un leone, simbolo dell’acqua e della vita.
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