Basilica di San Paolo Maggiore – Interno
Storia e architettura
La pianta della chiesa è a croce latina, con 3 navate separate da 18 colonne di granito. La navata centrale e il transetto presentano un soffitto ribassato a padiglione, mentre le due navate laterali sono coperte da cupolette ellittiche in successione.
Le attuali dimensioni risalgono al periodo tra il 1626 e 1640, cioè quando l’architetto Giovan Giacomo di Conforto decise di allungare la basilica rispetto alla sua struttura originaria. Le navate sono caratterizzate dalla cosiddetta “travata ritmica”, ovvero l’alternarsi di campate maggiori e minori tra gli archi della navata centrale e di quelle laterali: a quattro archi maggior, corrispondono tre archi minori per ogni lato.
Alla parete, troviamo un cornicione che la divide in due ordini. Nel primo troviamo raffigurate scene dei miracoli e della vita di Cristo, interrotte da un paio di dipinti posti su due archi minori che rappresentano vita e miracoli di San Gaetano, tutti realizzati da Santolo Cirillo nel 1737. Tra le finestre del secondo ordine, invece, troviamo dipinti raffiguranti Storie di San Gaetano, realizzate tra il 1660 e 1661 da Andrea de Lione su bozzetti di Andrea Vaccaro. Quest’ultimo ha realizzato anche gli affreschi con San Pietro e San Paolo sull’arco maggiore.
Accanto alla porta principale, sul fondo della navata, è presente il dipinto con la Sepoltura di Sant’Andrea Avellino, attribuita a Giovan Vincenzo Forlì. Sulla controfacciata, infine, troviamo un grandissimo affresco in cui è rappresentata la Dedica del Tempio a Salomone, opera di Santolo Cirillo e Giovan Battista Natali (per quanto riguarda le linee architettoniche) del 1737. Sul soffitto, troviamo quello che rimane degli affreschi di Massimo Stanzione, realizzati tra il 1643 e il 1644, ma danneggiati dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. In origine, questi dipinti raffiguravano Storie dei Santi Pietro e Paolo.
Le decorazioni marmoree di questa navata risalgono al periodo tra il Seicento e il Settecento, a parte il rivestimento marmoreo dei pilastri che risale ai restauri eseguiti a metà del 1900. Il pavimento è di Nicola Tammaro che vi lavorò fino al 1617.
Le attuali dimensioni risalgono al periodo tra il 1626 e 1640, cioè quando l’architetto Giovan Giacomo di Conforto decise di allungare la basilica rispetto alla sua struttura originaria. Le navate sono caratterizzate dalla cosiddetta “travata ritmica”, ovvero l’alternarsi di campate maggiori e minori tra gli archi della navata centrale e di quelle laterali: a quattro archi maggior, corrispondono tre archi minori per ogni lato.
Alla parete, troviamo un cornicione che la divide in due ordini. Nel primo troviamo raffigurate scene dei miracoli e della vita di Cristo, interrotte da un paio di dipinti posti su due archi minori che rappresentano vita e miracoli di San Gaetano, tutti realizzati da Santolo Cirillo nel 1737. Tra le finestre del secondo ordine, invece, troviamo dipinti raffiguranti Storie di San Gaetano, realizzate tra il 1660 e 1661 da Andrea de Lione su bozzetti di Andrea Vaccaro. Quest’ultimo ha realizzato anche gli affreschi con San Pietro e San Paolo sull’arco maggiore.
Accanto alla porta principale, sul fondo della navata, è presente il dipinto con la Sepoltura di Sant’Andrea Avellino, attribuita a Giovan Vincenzo Forlì. Sulla controfacciata, infine, troviamo un grandissimo affresco in cui è rappresentata la Dedica del Tempio a Salomone, opera di Santolo Cirillo e Giovan Battista Natali (per quanto riguarda le linee architettoniche) del 1737. Sul soffitto, troviamo quello che rimane degli affreschi di Massimo Stanzione, realizzati tra il 1643 e il 1644, ma danneggiati dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. In origine, questi dipinti raffiguravano Storie dei Santi Pietro e Paolo.
Le decorazioni marmoree di questa navata risalgono al periodo tra il Seicento e il Settecento, a parte il rivestimento marmoreo dei pilastri che risale ai restauri eseguiti a metà del 1900. Il pavimento è di Nicola Tammaro che vi lavorò fino al 1617.
L'angelo custode
Nella navata centrale, è posta la statua dell’Angelo Custode, sicuramente una delle più importanti sculture del Settecento napoletano, scolpita da Domenico Antonio Vaccaro nel 1712, inizialmente posta nell’omonima cappella e poi sostituita nel XIX secolo da una statua di Cristo. Alla figura dell’angelo è accostata una leggenda, secondo la quale, nel 1648 un angelo fermò la folla che, affamata, aveva intenzione di saccheggiare il convento di San Paolo.
Abside e altare maggiore
In origine, abside e transetto erano decorati da affreschi di Belisario Corenzio che dovevano raffigurare scene della vita e della passione di Cristo, i Santi apostoli, i Santi protettori della città e i Dottori della Chiesa greca e latina. Purtroppo, sono andati distrutti a causa di bombardamenti durante la seconda guerra mondiale insieme agli stalli lignei.
Nell'abside troviamo anche altre opere di Andrea Vaccaro raffiguranti l'Apparizione della Vergine col Bambino a San Gaetano e la Visione della Croce del Beato Giovanni Marinoni.
In origine, l’altare maggiore era stato realizzato nel 1608 su disegno del padre teatino Anselmo Cangiano. Nel corso dei secoli, però, ha subito numerosi ritocchi e quello visibile attualmente è opera del marmoraro Antonio de Lucca, che lo realizzò tra il 1775 e il 1776 su disegno di Ferdinando Fuga. I due puttini che ornano il paliotto e gli angeli sono da attribuire a Angelo e Giocomo Viva che li realizzarono nel 1776. Il tabernacolo, invece, è stato opera dello scultore Raffael Meittner, su disegno del padre teatino Cangiano, in un periodo compreso tra il 1625 e il 1640. L’artista realizzò l’opera in bronzo dorato, ornato da un complesso intarsio di marmi, pietre dure e figure in bronzo dorato, aspetto che lo rendono uno dei più importati esempi di tarsia di pietre dure della Napoli del Seicento.
Nell'abside troviamo anche altre opere di Andrea Vaccaro raffiguranti l'Apparizione della Vergine col Bambino a San Gaetano e la Visione della Croce del Beato Giovanni Marinoni.
In origine, l’altare maggiore era stato realizzato nel 1608 su disegno del padre teatino Anselmo Cangiano. Nel corso dei secoli, però, ha subito numerosi ritocchi e quello visibile attualmente è opera del marmoraro Antonio de Lucca, che lo realizzò tra il 1775 e il 1776 su disegno di Ferdinando Fuga. I due puttini che ornano il paliotto e gli angeli sono da attribuire a Angelo e Giocomo Viva che li realizzarono nel 1776. Il tabernacolo, invece, è stato opera dello scultore Raffael Meittner, su disegno del padre teatino Cangiano, in un periodo compreso tra il 1625 e il 1640. L’artista realizzò l’opera in bronzo dorato, ornato da un complesso intarsio di marmi, pietre dure e figure in bronzo dorato, aspetto che lo rendono uno dei più importati esempi di tarsia di pietre dure della Napoli del Seicento.
Sagrestia
Nella sagrestia troviamo numerosi affreschi raffiguranti Angeli, Allegorie, Vitù, la Caduta di Simon mago e la Conversione di San Paolo, tutte opere di Francesco Solimena, realizzate tra il 1689 e il 1690. Questi dipinti sono incorniciati da motivi fitomorfi e floreali realizzati in stucco dorato. In basso, troviamo alcuni medaglioni contenenti i ritratti dei quattro fondatori ll’Ordine dei Teatini: San Gaetano, Paolo IV, Bonifacio da Colli e Paolo Consiglieri.
Inoltre, nel locale, sono conservati arredi del Seicento, come l’armadio che un tempo era posto sul fondo e che veniva usato per custodire un orologio in tartaruga con finiture in bronzo e un dipinto raffigurante la Natività. Il mobile è stato realizzato nel 1678 dall’ebanista Lorenzo Shaiter ed è uno dei più grandiosi mai realizzati. Per motivi di sicurezza, ora è custodito nel convento.
Inoltre, nel locale, sono conservati arredi del Seicento, come l’armadio che un tempo era posto sul fondo e che veniva usato per custodire un orologio in tartaruga con finiture in bronzo e un dipinto raffigurante la Natività. Il mobile è stato realizzato nel 1678 dall’ebanista Lorenzo Shaiter ed è uno dei più grandiosi mai realizzati. Per motivi di sicurezza, ora è custodito nel convento.
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