Chiostro di San Gregorio Armeno
Storia e descrizione
Il Chiostro di San Gregorio Armeno si trova tra Via San Gregorio Armeno e Vico Giuseppe Maffei, accanto alla Chiesa di San Gregorio Armeno.
La data della sua costruizione è incerta, anche se alcuni storici la collocano intorno all’XI secolo, più precisamente in una data successiva a 1025, anno in cui Sergio, duca di Napoli, emanò un decreto affinchè la Cappella di San Gregorio Armeno e altre tre piccole chiesette fossero unite in un unica struttura da dedicare al santo, vescovo di Armenia, le cui reliquie erano state portate a Napoli da alcune monache basiliane.
Inizialemente il chiostro era un semplice giardino con undici arcate sul lato corto e dodici su quello lungo, ma a partire dal XVI secolo venne profondamente trasformato. Intorno al 1565, infatti, a seguito delle nuove regole di clausura imposte dal Concilio di Trento, le suore dovettero modificare la struttura, collocando la chiesa all’esterno delle mura del convento. I lavori vennero affidati, grazie alla volontà della badessa Lucrezia Caracciolo, a Giovanni Vincenzo della Monica, architetto di Cava de’ Tirreni che plasmò il nuovo aspetto dell’edificio prendendo spunto dal Chiostro dei Santi Marcellino e Festo, anch’esso da lui realizzato. L’intento della badessa era quello di poter avere a disposizione degli spazi in cui allentare il peso della clausura e venne accontentata in questo grazie alla costruzione di cinque belvedere: i due più bassi si trovano accanto alla cupola e sull’angolo orientale, si passa poi a quello accanto al campanile, che offre la vista su Via San Gregorio Armeno, a quello lungo il muro della clausura e, per finire, si arriva a quello più alto, la terrazza belvedere posta all’angolo di nord-ovest, protetta da cinque arcate per lato. Altre modifiche vennero apportate dai lavori eseguiti dopo il 1664 da Francesco Antonio Picchiatti che ridusse le dimensioni del chiostro spostando al piano terra il refettorio, metrne ai piani superiori vennero costruite le celle e i dormitori.
A partire dal 1864, il convento ospitò suore provenienti da altri ordini che, dopo l’unità d’Italia, videro i propri spazi assegnati ad usi militari o amministrativi. Tra questi ricordiamo le sorelle di Sant’Arcanglo a Bajano, Donnaromita e SAnta Patrizia. Infine, quando nel 1922 la struttura fu assegnata alle Suore Crocefisse Addolorate, la clausura fu abolita e l’antico chiostro reso finalmente visitabile a tutti. La struttura venne danneggiata dal terremoto del 1930, ma ancora di più dalle opere di ricostruzione successive, durante le quali si decise di demolire la scala settecentesca per realizzare i bagni dell’orfanotrofio che occupava un’ala del convento.
Al centro del chiostro fanno bella mostra di sè la grande fontana marmorea di epoca barocca e le statue raffiguranti il Cristo e la Samaritana, queste ultime opere Settecentesche di Andrea Bottiglieri, autore anche della Guglia dell’Immacolata in Piazza del Gesù. La vasca, invece, realizzata da un architetto ignoto, fu commissionata direttamente dalla badessa Violante Pignatelli con decorazioni formate da intrecci di cavalli marini, conchiglie, delfini e maschere. Accanto, sormontato da una costruzione in ferro battuto, troviamo il pozzo, costruito per camuffare il buco aperto per l’estrazione del tufo durante i lavori Cinquecenteschi e Seicenteschi.
Di notevole ingegno è il sistema idrico che venne progettato per convogliare nel convento le acque del condotto del Carmingnano e per raccogliere quelle piovane. Su due archi rampanti tra l’orto e il portico adiancente alla chiesa, vennero collocati i canali per convogliare l’acqua alle cisterne, a loro volta rivestite da volte a padigline e raggiungibili attraverso una piccola finestra. Il pozzo per la raccolta della pioggia, invece, fu posizionato lungo l’asse orientale, mentre ben 135 scalini portavano ai cunicoli e ai depositi ricavati negli ambienti sottostanti al chiostro. Su di un muro, affrescato con l’immagine di San Benedetto, vi sono ancora conservate le chiavi con cui veniva regolato il flusso dell’acqua.
La data della sua costruizione è incerta, anche se alcuni storici la collocano intorno all’XI secolo, più precisamente in una data successiva a 1025, anno in cui Sergio, duca di Napoli, emanò un decreto affinchè la Cappella di San Gregorio Armeno e altre tre piccole chiesette fossero unite in un unica struttura da dedicare al santo, vescovo di Armenia, le cui reliquie erano state portate a Napoli da alcune monache basiliane.
Inizialemente il chiostro era un semplice giardino con undici arcate sul lato corto e dodici su quello lungo, ma a partire dal XVI secolo venne profondamente trasformato. Intorno al 1565, infatti, a seguito delle nuove regole di clausura imposte dal Concilio di Trento, le suore dovettero modificare la struttura, collocando la chiesa all’esterno delle mura del convento. I lavori vennero affidati, grazie alla volontà della badessa Lucrezia Caracciolo, a Giovanni Vincenzo della Monica, architetto di Cava de’ Tirreni che plasmò il nuovo aspetto dell’edificio prendendo spunto dal Chiostro dei Santi Marcellino e Festo, anch’esso da lui realizzato. L’intento della badessa era quello di poter avere a disposizione degli spazi in cui allentare il peso della clausura e venne accontentata in questo grazie alla costruzione di cinque belvedere: i due più bassi si trovano accanto alla cupola e sull’angolo orientale, si passa poi a quello accanto al campanile, che offre la vista su Via San Gregorio Armeno, a quello lungo il muro della clausura e, per finire, si arriva a quello più alto, la terrazza belvedere posta all’angolo di nord-ovest, protetta da cinque arcate per lato. Altre modifiche vennero apportate dai lavori eseguiti dopo il 1664 da Francesco Antonio Picchiatti che ridusse le dimensioni del chiostro spostando al piano terra il refettorio, metrne ai piani superiori vennero costruite le celle e i dormitori.
A partire dal 1864, il convento ospitò suore provenienti da altri ordini che, dopo l’unità d’Italia, videro i propri spazi assegnati ad usi militari o amministrativi. Tra questi ricordiamo le sorelle di Sant’Arcanglo a Bajano, Donnaromita e SAnta Patrizia. Infine, quando nel 1922 la struttura fu assegnata alle Suore Crocefisse Addolorate, la clausura fu abolita e l’antico chiostro reso finalmente visitabile a tutti. La struttura venne danneggiata dal terremoto del 1930, ma ancora di più dalle opere di ricostruzione successive, durante le quali si decise di demolire la scala settecentesca per realizzare i bagni dell’orfanotrofio che occupava un’ala del convento.
Al centro del chiostro fanno bella mostra di sè la grande fontana marmorea di epoca barocca e le statue raffiguranti il Cristo e la Samaritana, queste ultime opere Settecentesche di Andrea Bottiglieri, autore anche della Guglia dell’Immacolata in Piazza del Gesù. La vasca, invece, realizzata da un architetto ignoto, fu commissionata direttamente dalla badessa Violante Pignatelli con decorazioni formate da intrecci di cavalli marini, conchiglie, delfini e maschere. Accanto, sormontato da una costruzione in ferro battuto, troviamo il pozzo, costruito per camuffare il buco aperto per l’estrazione del tufo durante i lavori Cinquecenteschi e Seicenteschi.
Di notevole ingegno è il sistema idrico che venne progettato per convogliare nel convento le acque del condotto del Carmingnano e per raccogliere quelle piovane. Su due archi rampanti tra l’orto e il portico adiancente alla chiesa, vennero collocati i canali per convogliare l’acqua alle cisterne, a loro volta rivestite da volte a padigline e raggiungibili attraverso una piccola finestra. Il pozzo per la raccolta della pioggia, invece, fu posizionato lungo l’asse orientale, mentre ben 135 scalini portavano ai cunicoli e ai depositi ricavati negli ambienti sottostanti al chiostro. Su di un muro, affrescato con l’immagine di San Benedetto, vi sono ancora conservate le chiavi con cui veniva regolato il flusso dell’acqua.
La Cappella dell'Idria e gli altri ambienti
Dal chiostro è possibile accedere a due cappelle. Nella prima è conservata una tela anonima raffigurante l’Adorazione della Vergine. La seconda, invece, è la Cappella dell’Idria, detta anche di Santa Maria dell’Odegitria, unico ambiente sopravvissuto dell’originaria struttura medievale, nonostante la ridecorazione Settecentesca; qui è custodito un ciclo di diciotto affreschi di Paolo de Matteis che raccontano la Vita di Maria e Virtù e puttini musicanti (1712), mentre l’altare maggiore è sormontato dall’icona orientale raffigurante la Madonna dell’Idria.
A sinistra dell’ingresso è possibile accedere al Coro delle monache e al successivo Corridoio delle monache, tramite il quale, le ragazze che avevano appena preso i voti, portavano in dote opere d’arte. Infine, all’interno del convento è possibile accedere al Salottino della Badessa, ambiente in stile rococò.
Tra gli altri ambienti, invece, da segnalare una farmacia ed un antico forno (poi convertiti in refettorio per le orfanelle nel XVIII secolo), un locale con una primitiva macina e numerose cucine.
A sinistra dell’ingresso è possibile accedere al Coro delle monache e al successivo Corridoio delle monache, tramite il quale, le ragazze che avevano appena preso i voti, portavano in dote opere d’arte. Infine, all’interno del convento è possibile accedere al Salottino della Badessa, ambiente in stile rococò.
Tra gli altri ambienti, invece, da segnalare una farmacia ed un antico forno (poi convertiti in refettorio per le orfanelle nel XVIII secolo), un locale con una primitiva macina e numerose cucine.
Dove si trova - mappa
Foto
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Le foto sono tratte da:
Wikipedia
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