Chiostri di Santa Maria la Nova
I Chiostri di Santa Maria la Novala Nova si trovano in Largo Santa Maria la Nova, accanto alla Chiesa di Santa Maria la Nova.
I chiostri e il complesso monastico rvennero costruiti a partire dal 1279 e rimasero attivi fino al 1811, anno in cui vennero chiusi a seguito delle soppressioni volute da Gioacchino Murat.
La volta dell’ambulacro è caratterizzata da un ciclo di affreschi dedicati alla vista di San Giacomo della Marca, attribuibili a Simone Papa (1627). Il primo dipinto, alla sinistra dell’ingresso, rappresenta San Giacomo ancora nel ventre materno che rassicura la madre, minacciata da alcuni ladri; il terzo affresco raffigura il Santo nell’atto della vestizione, inginocchiato all’altare, in attesa della benedizione di Fra Nicolò da Uzano; la quarta scena vede San Giacomo confortato dalla Vergine; il quinto dipinto rappresenta un miracolo, avvenuto a Brescia, in cui San Giacomo resuscita un bambino ucciso da un giudeo; il successivo, invece, racconta della conversione di un assassino mentre viene condotto al patibolo, illuminato dalle parole del Santo. Si giunge dunque alla porta che conduce alla sacrestia, sovrastata da una lunetta su cui è rappresentato l’incontro di San Giacomo col papa, che gli ordina di cominciare la missione contro gli infedeli. Il dipinto successivo vede il Santo sul lago di Mastare che zittisce le rane che disturbano la sua preghiera. Il nono affresco vede protagonista per la seconda volta la Vergine, che salva San Giacomo dalla morte, mentre in quello successivo è il Santo stesso a salvare gli ossessi con un esorcismo. Nell’undicesimo San Giacomo smaschera alcuni nemici che vogliono ucciderlo con del cibo avvelenato e, nel successivo, fa lo stesso con degli assassini inviati dalla regina di Bosnia durante il suo soggiorno in Sassonia. Nel tredicesimo affresco il Santo discute con Pio II la sua tesi sul Sangue di Cristo, approvata dalla Vergine nel dipinto successivo, mentre questa viene esposta al cardinale Francesco della Rovere, il futuro papa Sisto IV. Il dipinto successivo raffigura un altro miracolo, con San Giacomo che attraversa un fiumo trasportato dal mantello; il sedicesimo affresco vede ancora una discussione sul Sangue di Cristo con un rabbino, mentre il diciassettesimo vede il Santo al capezzale di Alfonso d’Aragona. Gli ultimi due dipinti raffigurano San Giacomo che dono la salute agli storpi e, infine, la sua morte.
Nel chiostro sono conservate anche alcune sepolture risalenti alla chiesa gotica. Accanto alla porta della sagrestia è collocato il monumento funebre di Sanzio Vitagliano, cortigiano al servizio degli aragonesi, opera del 1496 di Jacopo della Pila su cui è scolpito un Cristo risorto; successivamente troviami il sepolcro di Ferdinando Trecastelli, collaboratore di Carlo V, ricordato anche da un’iscrizione posta sul pavimento. Sotto il decimo affresco è collocato la lapide di Francesco Frediano, un frate toscano morto a Marano il 10 agosto 1856. Subito dopo la porta della sagrestia troviamo la sepoltura di Gaspare Siscaro, nobile noto per la sua generosità verso i poveri, poi, sul lato destro, la lapide dedicata a Pascale Diaz Garlon (1487), conte di Alife e consigliere di Ferdinando d’Aragona. Di seguito troviamo la tomba del vescovo d’Isernia Costantino Castriota Scanderbeg (1500), realizzato da Jacopo della Pila: quest’ultimo presenta presenta una sfinge alla base che sostiene una lapide con l’epitaffio, mentre nella parte superiore l’opera si completa con il corpo del defunto in abiti pontificali e con un bassorilievo raffigurante le Vergini sormontato dalla figura dell’Eterno Padre nel fastigio. Più in basso troviamo la sepoltura di Porzia Tomacelli, raffigurata in abiti francescani da una scultura di scuola napoletana del XVI secolo, e le sepolture di esponenti delle famiglie Trecastelli e Vena. Infine, troviamo il monumento funebre di un’antica famiglia macedone, un tempo posto nell’antica chiesa gotica e traslato nella collocazione attuale alla sua distruzione.
Sepolcro di Matteo Ferrillo
Tra i momunenti funebri, degno di nota è quello di Matteo Ferrillo, primo segretario e direttore spirituale di Alfonso d’Aragona, opera di Jacopo della Pila, datata 1499, e ritenuto da alcuni la tomba del leggendario Conte Dracula (Vlad III di Valachia) per via di alcuni riferimenti iconografici e ipotesi storiche.
Il cenotafio, realizzato in marmo di Carrara, presenta alla base l’iscrizione “AN. A CHRISTI NATALIBUS MCCCCLXXXXIX” e, al centro, un bassorilievo raffigurante un drago. In alto, sopra due mensole, è posta la stuata del defunto, a sua volta sormontata da un altro bassorilievo che, all’interno di un tondo, ospita la figura della Madonna col Bambino. Tra la lapide e il defunto è incisa un’altra iscrizione: “MATTHEUS FERRILLUS NOB. ET EQUESTRIS ORDINIS INSIGNIS MURI COMES ALPHONSI II REGIS ARAG. A CUBICULO PRIMUS EIUSQ. DUM PATERENTUR ANIMI GUBERNATOR POSTERITATI CONSULENS SACELLUM HOC VIRGINIS ASSUMPTIONI DICATU M VIVENS SIBI E SUI F.
Ma secondo un team di studiosi italiani ed estoni, che nel 2014 elaborarono la propria teoria, la tomba non conterrebbe quanto dichiarato, bensì le spoglie mortali del cosiddetto Conte Dracula. L’ipotesi sarebbe supportata da alcuni riferimenti iconografici, inusuali se non unici per una tomba europea, come le due sfingi contrapposte, simbolo della città di Tebe che richamerebbe il termine “Tepe”, alludendo così al vero nome del conte, ossia Dracula Tepes. Sempre secondo questa teoria, Dracula non sarebbe morto in battaglia, ma fatto prigioniero dai turchi e, successivamente, riscattato dalla figlia, Maria Balsa, rifugiatasi a Napoli e moglie proprio di Matteo Ferrillo, nella cui tomba avrebbe tumulato anche il corpo del padre.
A rendere questa ipotesi solo una suggestiva leggenda, però, rimangono ancora molti dubbi, a partire dal fatto che non esiste nessuna prova documentata dell’esistenza di una figlia del conte Vlaad che, invece, ebbe solo maschi. Inoltre, il drago raffigurato sulla lapide non richiamerebbe la figura del conte (il termine “Dracula” si tradurrebbe come “figlio del drago”), ma sarebbe semplicemente lo stemma araldico della famiglia Ferrillo.
Sacrestia e refettorio
Sul lato opposto all’ingresso si trovano sagrestia e refettorio. Quest’ultimo, con volta a conchiglia del XVI secolo, è stato diviso in due parti, una verso il complesso monumentale e una verso gli uffici della Provincia. Nella prima zona troviamo un affresco attribuito ad Andrea Sabatini o al Bramantino, raffigurante la Salita al Calvario, e un pulpito scolpito con bassorilievi raffiguranti l’Adorazione dei Magi, San Francesco e il Crocifisso. Nella seconda, invece, è custodito un affresco di Francesco da Tolentino che rappresenta l’Adorazione dei Magi tra i Santi Francesco e Bonaventura (al centro), l’Annunciazione e la Natività (in basso), e l’Incoronazione della Vergine (nella lunetta); sulla parete di fondo è collocato un tondo in marmo con la Madonna col Bambino, opera anonima del XVI secolo.
Rimangono invece visibili due statue, una, nell’androne, raffigurante l’Astronomia, opera di Girolamo d’Auria, e l’altra raffigurante il Diritto, di Francesco Cassano. In un’altra sala, un tempo comunicante con la cucina, è conservato un medaglione del XVI secolo raffigurante la Madonna col Bambino.
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Bellissimi opere d’arte ,capolavori come questa del giovane -Costantino-Castriotta morto 1500 a soli 21 anni.