Complesso di Santa Maria dei Monti

Storia e architettura
Complesso di Santa Maria dei MontiIl Complesso di Santa Maria dei Monti si trova in Via Santa Maria ai Monti.
Il complesso architettonico prende il nome dall’icona dipinta da Girolamo D’Arena nel XVII secolo che raffigura la Vergine Maria su di un trono formato da tre monti, con il Bambino poggiato sul braccio sinistro, il quale, a sua volta, sul braccio sinistro regge il mondo. Ai lati, San Pietro e San Paolo, mentre la struttura sullo sfondo è circondata da tre angeli. L’opera, commissionata da Carlo Carafa, fondatore della Congregazione dei Pii Operai, simboleggia la cooperazione tra Gesù e Maria per la salvezza dell’uomo e la sua venerazione per la Madre Regina degli Apostoli. E infatti, proprio con il nome di “Madonna degli Apostoli” era inizialmente conosciuto il dipinto e, solo successivamente acquisì il titolo di “Santa Maria ai Monti”, dalla zona dei Ponti Rossi dove il Carafa decise di edificare un nuovo convento come sede della sua neonata congregazione.
Venne acquistata un’antica masseria con con alberi da frutta, bosco, casa, cortile murato, cisterna ed altri locali, così da dare il via al progetto. Il 14 maggio del 1606, giorno di Pentecoste, Carlo Carafa celebrò la prima Messa nella chiesa della Madonna dei Monti e, dopo la benedizione e l’approvazione del cardinale Ottavio Acquaviva, arcivescovo di Napoli, si trasferì nella neonata struttura con la sua congregazione. Successivamente, nel 1607, vi trasferì anche la casa di noviziato dei Pii Operai che, fino ad allora, si trova presso San Giorgio Maggiore.
La zona in cui si trovava il luogo di culto era molto impervia e il crescere dell’affluenza di fedeli convinse l’amministrazione napoletana a costruire una strada a rampe in basalto. Per lo stesso motivo, si rese necessaria la costruzione di una chiesa più grande. Il progetto fu affidato nel 1627 all’architetto fratel Giuseppe, mentre i lavori, che cominciarono il 22 gennaio del 1628 con la posa della prima pietra, vennero seguiti da Giuseppe Russo. I lavori, però, procedevano lentamente anche a causa dell’eruzione del Vesuvio del 1631 e della morte di Carlo Carada nel 1633. Così, vista l’insoddisfazione per lo stato della fabbrica, un nuovo progetto fu commissionato a Cosimo Fanzago e la chiesa venne completata nel 1654.
Subito dopo, però, nel 1656, la città fu colpita da una terribile epidemia di peste che fece numerose vittime anche tra i Pii operai, dei quali rimasero solo due superstiti. A questo, si aggiunse il terremoto del 1688 che causò numerosi danni al complesso, rendendo necessari lunghissimi lavori di restauro. Così, la chiesa fu consacrata soltanto il 21 ottobre 1724. Ma nel 1732, un altro sisma si accanì su Napoli e altri interventi di consolidamento furono affidati all’Ing. Giovan Battista Anaclerio.
Durante il XVIII secolo nuovi locali vennero ristrutturati e aggiunti, ma con l’avvento del regno di Gioacchino Murat, durante il periodo napoleonico, all’inizio del secolo successivo i frati vennero espulsi e la chiesa e il convento derubati delle loro ricchezze.
La situazione non migliorò nemmeno con l’Unità d’Italia, dopo la quale le associazioni religiose vennero sciolte e i loro beni confiscati dallo Stato. Nel caso del Complesso di Santa Maria dei Monti, la struttura venne ceduta al comando militare che la utilizzò come residenza per gli ufficiali e ricovero per le vedove, trasformando il refettorio in sala da ballo.
La casa dei Pii Operai fu poi venduta nel 1882 a Don Lorenzo Apicella, Don Filippo Smaldone e al Canonico Antonio D’Amelio, che ne fecero un centro di accoglienza per sordomuti fino al 1894. Nel 1898 cominciarono le trattative con i Padri Passionisti che trasferirono un primo gruppo di religiosi agli inizi del 1900, prendendo possesso ufficialmente del convento il 24 marzo del 1900. Da allora il convento prese il nome di “casa madre dei Passionisti della Provincia dell’Addolorata”.
I terremoti del 1923 e del 1980 causarono vari danni al convento e alla chiesa che, dopo due decenni di restauri fu riaperta il 22 maggio del 2000 dal Cardinale Michele Giordano.
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