Palazzo Berio
Storia e architettura
Palazzo Berio si trova in via Toledo 256.
La data di costruzione dell’edificio non è nota, ma già nel 1652 apparteneva a Simone Vaaz, conte di Nola e presidente della Regia Camera della Sommaria che, in quell’anno, volle realizzare alcuni lavori per facilitare il passaggio delle carrozze. Sicuramente, il palazzo rimase alla famiglia fino al 1696, mentre nel 1743 il proprietario era il duca Perelli di Monasterace che realizzò alcuni lavori alla fontana con una testa di cervo nel cortile, inserendovi dei mascheroni per meglio indirizzare i getti d’acqua.
In seguito, nel 1772, il marchese Berio prese in affitto l’immobile per alcuni mesi in quanto doveva partecipare ai festeggiamenti in onore di Maria Teresa, prima figlia di Ferdinando IV e Maria Carolina. Nell’occasione, incaricò Luigi Vanvitelli di rivedere gli interni per ricavarvi una sala da ballo e un teatro. In seguito, lo stesso Vanvitelli, restaurò interamente il palazzo, rifacendo la facciata, le pareti visibili dal cortile e decorando ulteriormente gli ambienti già realizzati in precedenza con l’aiuto di Giacinto Diano e Gaetano Magri. Inoltre, gli arredi vennero rifatti con l’aiuto di Giuseppe Rescigno e Angelo Cammarota.
Successivamente, l’edificio divenne proprietà di Giovan Domenico Berio, marchese di Salsa, al quale successe nel 1791 il figlio Francesco Maria, ricordato soprattutto come librettista d’opera lirica, tra cui spicca l’Otello di Gioacchino Rossini. Inoltre, il grande interesse che aveva per l’arte, condiviso con la moglie Giulia imperiale, gli permise di arricchire la sua dimora con una biblioteca e numerose opere d’arte tra cui un gruppo scultoreo raffigurante Adone e Vedere, realizzato da Antonio Canova, con il quale la famiglia intratteneva buoni rapporti. Infatti, alla morte di Francesco (1820), la moglie chiese all’artista veneto di realizzare un monumento funebre da collocare nella chiesa di San Giorgio dei Genovesi. Purtroppo, due anni più tardi, anche il Canova morì e il progetto non fu mai realizzato.
L’eredità venne suddivisa tra le quattro figlie del marchese che, per realizzare della liquidità, svendettero la quadreria e la scultura del Canova ad un mercante Svizzero.
La data di costruzione dell’edificio non è nota, ma già nel 1652 apparteneva a Simone Vaaz, conte di Nola e presidente della Regia Camera della Sommaria che, in quell’anno, volle realizzare alcuni lavori per facilitare il passaggio delle carrozze. Sicuramente, il palazzo rimase alla famiglia fino al 1696, mentre nel 1743 il proprietario era il duca Perelli di Monasterace che realizzò alcuni lavori alla fontana con una testa di cervo nel cortile, inserendovi dei mascheroni per meglio indirizzare i getti d’acqua.
In seguito, nel 1772, il marchese Berio prese in affitto l’immobile per alcuni mesi in quanto doveva partecipare ai festeggiamenti in onore di Maria Teresa, prima figlia di Ferdinando IV e Maria Carolina. Nell’occasione, incaricò Luigi Vanvitelli di rivedere gli interni per ricavarvi una sala da ballo e un teatro. In seguito, lo stesso Vanvitelli, restaurò interamente il palazzo, rifacendo la facciata, le pareti visibili dal cortile e decorando ulteriormente gli ambienti già realizzati in precedenza con l’aiuto di Giacinto Diano e Gaetano Magri. Inoltre, gli arredi vennero rifatti con l’aiuto di Giuseppe Rescigno e Angelo Cammarota.
Successivamente, l’edificio divenne proprietà di Giovan Domenico Berio, marchese di Salsa, al quale successe nel 1791 il figlio Francesco Maria, ricordato soprattutto come librettista d’opera lirica, tra cui spicca l’Otello di Gioacchino Rossini. Inoltre, il grande interesse che aveva per l’arte, condiviso con la moglie Giulia imperiale, gli permise di arricchire la sua dimora con una biblioteca e numerose opere d’arte tra cui un gruppo scultoreo raffigurante Adone e Vedere, realizzato da Antonio Canova, con il quale la famiglia intratteneva buoni rapporti. Infatti, alla morte di Francesco (1820), la moglie chiese all’artista veneto di realizzare un monumento funebre da collocare nella chiesa di San Giorgio dei Genovesi. Purtroppo, due anni più tardi, anche il Canova morì e il progetto non fu mai realizzato.
L’eredità venne suddivisa tra le quattro figlie del marchese che, per realizzare della liquidità, svendettero la quadreria e la scultura del Canova ad un mercante Svizzero.
Tratto da: Aurelio De Rose, I palazzi di Napoli, Roma, Newton & Compton, 2001
Dove si trova - mappa
Foto
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