Palazzo Carafa di Columbrano
Storia e architettura
Il palazzo Carafa di Columbrano si trova in via San Biagio dei Librai 121.
Come ricorda un’epigrafe posta sul portale, la struttura venne restaurata tra il
1444 e il 1466 per volere di Diomede Carafa, duca di Maddaloni. Inizialmente, la struttura doveva essere destinata ad accogliere reperti antichi che andavano ad alimentare la ricchissima collezione privata del proprietario. Tutto ciò è testimoniato dal fatto che il Carafa arrivava a spendere cifre esorbitanti (circa 17000 scudi) per accaparrarsi quante più opere possibile.
Gli storici non sono ancora riusciti a dare un nome certo all’autore dell’edificio, anche se è possibile che si tratti di Agnolo Fiore, architetto e scultore che lavorò per la famiglia Carafa proprio in quel periodo.
Sulla facciata in piperno bugnato giallo, si apre il suddetto portale in marmo bianco, realizzato in classico stile rinascimentale. Al di sopra dell’architrave, sono poste le armi e gli stemmi della famiglia Carafa, mentre sulla mensola più alta due busti potrebbero rappresentare gli imperatori Claudio e Vespasiano, con al centro una nicchia ospitante una statua di Ercole. Il portone, invece, è sicuramente di epoca successiva e conserva ancora gli originale battenti in legno intagliato, con decorazioni e simboli araldici.
Dall’atrio, sulla sinistra, è possibile raggiungere i piani superiori attraverso una scala, mentre nel piccolo giardino è posta una testa di cavallo in terracotta. L’origine di questa opera è tutt’ora incerta. Alcuni studiosi pensano che potesse far parte di un qualche reperto equestre, venuto alla luce dove ora si trova la guglia di San Gennaro, area un tempo occupata da un tempio dedicato a Nettuno e ad Apollo. Altri sono dell’idea che fosse parte di un monumento donato dai napoletani a Nerone per le sue esibizioni canore. Infine, un’altra corrente ritiene la testa di cavallo legata ai riti magici che le varie leggende associano a Virgilio. Quest’ultimo infatti, avrebbe costruito questa scultura in metallo donandole il potere di guarire chiunque le fosse girato intorno per tre volte; in seguito, nel 1322, il Cardinale Matteo Filomarino fece fondere la scultura per porre fine al proliferare di questo rito pagano ricavandone una campana. Così, non si ebbero più notizie del cavallo fino al ritrovamento nel palazzo Carafa che potrebbe conservare uno scarto di quella fusione. In realtà, l’ipotesi più attendibile è che fu Lorenzo de Medici a donare nel XV secolo la testa equina al Carafa che, in una sua lettera, lo ringrazia per il dono ricevuto. Quindi, l’unico mistero rimane quello dell’attribuzione, ovvero se l’opera sia stata realizzata davvero da Donatello come sostenuto da Giorgio Vasari nel secolo successivo. Comunque, l’incertezza sulla provenienza della testa di cavallo è testimoniata anche dall’epigrafe posta alla base (ora conservata nel Museo di San Martino) da don Francesco Carafa di Columbrano nel XVIII secolo che parla della testa avallando la tesi che fosse parte di un corpo intero, fuso per farne una campana del duomo.
Nel 1713, visto che questo ramo della famiglia Carafa non aveva più eredi, la proprietà passò a don Francesco Carafa di Columbrano e alla moglie Faustina Pignatelli, i si preoccuparono di effettuare alcuni lavori di restauro. In seguito, nel 1815, dopo alcuni anni di abbandono, il palazzo venne acquistato dalla famiglia Santangelo che continuò l’arricchimento della struttura con opere d’arte e reperti antichi.
Oggi, il palazzo, adibito a condominio e a scuola, conserva solo parte delle opere che erano state acquistate dai suoi antichi proprietari.
Come ricorda un’epigrafe posta sul portale, la struttura venne restaurata tra il
1444 e il 1466 per volere di Diomede Carafa, duca di Maddaloni. Inizialmente, la struttura doveva essere destinata ad accogliere reperti antichi che andavano ad alimentare la ricchissima collezione privata del proprietario. Tutto ciò è testimoniato dal fatto che il Carafa arrivava a spendere cifre esorbitanti (circa 17000 scudi) per accaparrarsi quante più opere possibile.
Gli storici non sono ancora riusciti a dare un nome certo all’autore dell’edificio, anche se è possibile che si tratti di Agnolo Fiore, architetto e scultore che lavorò per la famiglia Carafa proprio in quel periodo.
Sulla facciata in piperno bugnato giallo, si apre il suddetto portale in marmo bianco, realizzato in classico stile rinascimentale. Al di sopra dell’architrave, sono poste le armi e gli stemmi della famiglia Carafa, mentre sulla mensola più alta due busti potrebbero rappresentare gli imperatori Claudio e Vespasiano, con al centro una nicchia ospitante una statua di Ercole. Il portone, invece, è sicuramente di epoca successiva e conserva ancora gli originale battenti in legno intagliato, con decorazioni e simboli araldici.
Dall’atrio, sulla sinistra, è possibile raggiungere i piani superiori attraverso una scala, mentre nel piccolo giardino è posta una testa di cavallo in terracotta. L’origine di questa opera è tutt’ora incerta. Alcuni studiosi pensano che potesse far parte di un qualche reperto equestre, venuto alla luce dove ora si trova la guglia di San Gennaro, area un tempo occupata da un tempio dedicato a Nettuno e ad Apollo. Altri sono dell’idea che fosse parte di un monumento donato dai napoletani a Nerone per le sue esibizioni canore. Infine, un’altra corrente ritiene la testa di cavallo legata ai riti magici che le varie leggende associano a Virgilio. Quest’ultimo infatti, avrebbe costruito questa scultura in metallo donandole il potere di guarire chiunque le fosse girato intorno per tre volte; in seguito, nel 1322, il Cardinale Matteo Filomarino fece fondere la scultura per porre fine al proliferare di questo rito pagano ricavandone una campana. Così, non si ebbero più notizie del cavallo fino al ritrovamento nel palazzo Carafa che potrebbe conservare uno scarto di quella fusione. In realtà, l’ipotesi più attendibile è che fu Lorenzo de Medici a donare nel XV secolo la testa equina al Carafa che, in una sua lettera, lo ringrazia per il dono ricevuto. Quindi, l’unico mistero rimane quello dell’attribuzione, ovvero se l’opera sia stata realizzata davvero da Donatello come sostenuto da Giorgio Vasari nel secolo successivo. Comunque, l’incertezza sulla provenienza della testa di cavallo è testimoniata anche dall’epigrafe posta alla base (ora conservata nel Museo di San Martino) da don Francesco Carafa di Columbrano nel XVIII secolo che parla della testa avallando la tesi che fosse parte di un corpo intero, fuso per farne una campana del duomo.
Nel 1713, visto che questo ramo della famiglia Carafa non aveva più eredi, la proprietà passò a don Francesco Carafa di Columbrano e alla moglie Faustina Pignatelli, i si preoccuparono di effettuare alcuni lavori di restauro. In seguito, nel 1815, dopo alcuni anni di abbandono, il palazzo venne acquistato dalla famiglia Santangelo che continuò l’arricchimento della struttura con opere d’arte e reperti antichi.
Oggi, il palazzo, adibito a condominio e a scuola, conserva solo parte delle opere che erano state acquistate dai suoi antichi proprietari.
Tratto da: Aurelio De Rose, I palazzi di Napoli, Roma, Newton & Compton, 2001
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