Palazzo Carafa di Maddaloni
Storia
Il palazzo Carafa di Maddaloni è ubicato in via Maddaloni 6.
L’edificio venne costruito tra il 1580 e il 1585 per volontà del marchese del Vasto Cesare d’Avalos dopo aver acquistato il terreno dalla famiglia dei Pignatelli di Monteleone. Inizialmente, furono innalzati solo tre lati del palazzo, mentre la parte retrostante fu lasciata a giardino, confinante con quello dei monaci di Monteoliveto. In seguito, acquistata la parte confinante venne edificata anche la parte mancante.
In seguito, il palazzo passò al mercante fiammingo Gaspare Roomer che, trasferitosi a Napoli, lo acquisto in cambio di una villa che lui stesso aveva a Barra. Poi, nel 1652, la struttura venne acquistata da Diomede Carafa, duca di Maddaloni, e, anche in questa occasione, venne realizzato uno scambio che prevedeva il passaggio al mercante olandese delle proprietà che i nuovi proprietari avevano nei quartieri Stella e Posillipo. Così, il Carafa decise di affidarne il restauro a Cosimo Fanzago che rifece in chiave barocca la facciata, lo scalone, il loggiato e il portale. L’architetto bergamasco venne coadiuvato nella sua opera da Piero Barberis, marmoraro piperniere che lo aiutò a lavorare i marmi bianchi per il portale, e Giovan Battista Manni, decoratore che si occupò degli stucchi e degli ornati che si trovano specialmente sul lato di via Toledo.
La proprietà del palazzo rimase ai Carafa fino al 1765, quando l’erede Carlo, sommerso dai debiti, fu costretto a venderlo in parte al conte Garzilli, mentre altri ambienti vennero trasformati in uffici i quali, come ricordato da tre epigrafi poste sulla facciata, ospitarono anche la Suprema Corte di Giustizia, il sindaco di Napoli Luigi Miraglia tra il 1901 e il 1903,e lo studioso e filantropo Leopoldo Rodinò.
L’edificio venne costruito tra il 1580 e il 1585 per volontà del marchese del Vasto Cesare d’Avalos dopo aver acquistato il terreno dalla famiglia dei Pignatelli di Monteleone. Inizialmente, furono innalzati solo tre lati del palazzo, mentre la parte retrostante fu lasciata a giardino, confinante con quello dei monaci di Monteoliveto. In seguito, acquistata la parte confinante venne edificata anche la parte mancante.
In seguito, il palazzo passò al mercante fiammingo Gaspare Roomer che, trasferitosi a Napoli, lo acquisto in cambio di una villa che lui stesso aveva a Barra. Poi, nel 1652, la struttura venne acquistata da Diomede Carafa, duca di Maddaloni, e, anche in questa occasione, venne realizzato uno scambio che prevedeva il passaggio al mercante olandese delle proprietà che i nuovi proprietari avevano nei quartieri Stella e Posillipo. Così, il Carafa decise di affidarne il restauro a Cosimo Fanzago che rifece in chiave barocca la facciata, lo scalone, il loggiato e il portale. L’architetto bergamasco venne coadiuvato nella sua opera da Piero Barberis, marmoraro piperniere che lo aiutò a lavorare i marmi bianchi per il portale, e Giovan Battista Manni, decoratore che si occupò degli stucchi e degli ornati che si trovano specialmente sul lato di via Toledo.
La proprietà del palazzo rimase ai Carafa fino al 1765, quando l’erede Carlo, sommerso dai debiti, fu costretto a venderlo in parte al conte Garzilli, mentre altri ambienti vennero trasformati in uffici i quali, come ricordato da tre epigrafi poste sulla facciata, ospitarono anche la Suprema Corte di Giustizia, il sindaco di Napoli Luigi Miraglia tra il 1901 e il 1903,e lo studioso e filantropo Leopoldo Rodinò.
Tratto da: Aurelio De Rose, I palazzi di Napoli, Roma, Newton & Compton, 2001
Architettura
L’elemento architettonico di maggior spicco è senza dubbio il maestoso portale che, nella sua magnificenza, si innalza fino al secondo piano. Esso presenta un arco a tutto tondo, racchiuso tra gli alti piedritti con doppie lesene, su cui si alternano inserti rettangolari e bugnati. Il timpano spezzato, inoltre, è ricco di complesse decorazioni, con al centro una conchiglia ed una nicchia nella quale, in passato, era posto un busto. Inoltre, anche il portone presenta alcune decorazioni, come la rosta con un mascherone, replicata anche nella parte interna.
La facciata presenta dieci balconi, sia sul lato principale che su quello su via Toledo, tra i quali si alternano dei medaglioni in cui sono rappresentati aquile e leoni che, secondo il volere del committente Diomede Carafa, simboleggiano allegoricamente le virtù della famiglia.
All’interno troviamo il cortile, sul quale si affaccia il loggiato perimetrale della corte, composta da archi a tutto sesto. Da qui, si raggiunge lo scalone che conduce agli ambienti interni. Tra questi spicca, al primo piano, la grande sala in cui sono conservati gli affreschi di Fedele Fischetti, realizzati tra il 1766 e il 1770, in cui sono rappresentate scene del Trionfo di Alfonso d’Aragona. All’interno, inoltre, esisteva anche una sala di forma sferica che conservava alcuni affreschi di Giacomo del Po, purtroppo distrutta durante i bombardamenti del 14 marzo 1944.
La facciata presenta dieci balconi, sia sul lato principale che su quello su via Toledo, tra i quali si alternano dei medaglioni in cui sono rappresentati aquile e leoni che, secondo il volere del committente Diomede Carafa, simboleggiano allegoricamente le virtù della famiglia.
All’interno troviamo il cortile, sul quale si affaccia il loggiato perimetrale della corte, composta da archi a tutto sesto. Da qui, si raggiunge lo scalone che conduce agli ambienti interni. Tra questi spicca, al primo piano, la grande sala in cui sono conservati gli affreschi di Fedele Fischetti, realizzati tra il 1766 e il 1770, in cui sono rappresentate scene del Trionfo di Alfonso d’Aragona. All’interno, inoltre, esisteva anche una sala di forma sferica che conservava alcuni affreschi di Giacomo del Po, purtroppo distrutta durante i bombardamenti del 14 marzo 1944.
Tratto da: Aurelio De Rose, I palazzi di Napoli, Roma, Newton & Compton, 2001
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Foto
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Alcune foto sono tratte da:
Wikipedia
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