Palazzo Reale di Napoli – L’appartamento reale
L'appartamento reale
Al piano nobile del palazzo, nucleo più antico di tutto l’edificio, si trova l’Appartamento Reale, dove risiedevano i Vicerè austriaci e spagnoli (1600-1734) e i sovrani dei Borbone (1734-1860).
Il Grande Appartamento di Etichetta, restaurato da Ferdinando di Borbone, è aperto al pubblico dal 1919 ed è raggiungibile attraverso il maestoso scalone d’onore che giunge all’ambulacro o loggia vetrata del primo piano. A destra, sul primo braccio, si trovano il Teatrino di Corte e le Sale di Udienza che affacciano su Piazza Plebiscito, mentre a sinistra vi sono le stanze dell’appartamento privato che affacciano sul giardino pensile; nel terzo braccio, si trovano il salone da ballo e la Cappella Reale, mentre il quarto si apre lungo le vetrate dello scalone da cui si può ammirare il panorama costituito dalla Collina del Vomero e dalla Certosa di San Martino.
La disposizione attuale è quella già prevista dagli antichi progetti di Domenico Fontana realizzati a Roma verso la metà del XVII secolo, eccezion fatta per la demolizione del Palazzo Vecchio (1838) e per la trasformazione della Sala Regia in Teatrino di Corte (XVIII secolo). Inoltre, nel 1837, un incendio rese necessario lo spostamento degli appartamenti privati reali al secondo piano, mentre durante la Seconda Guerra Mondiale, i bombardamenti sulla città distrussero il soffitto del Teatrino di Corte e quello della “Stanza dove sua Maestà si veste”, dove si trovava l’affresco di Francesco De Mura raffigurante l’Aurora (1765). Stessa sorte per i parati di San Leucio di alcune sale, prontamente rifatti tra il 1950 e il 1954.
Le decorazioni pittoriche che troviamo nelle stanze, riflette l’epoca in cui sono state eseguite e ciò che il committente voleva comunicare. Infatti, in gran parte dei soffitti di epoca seicentesca si trovano dipinti di ispirazione storica, in cui i sovrani spagnoli vengono raffigurati in trionfo o durante incarichi di prestigio. Tra queste spicca l’unico dipinto a soggetto laico pervenutoci di Battistello Caracciolo che raffigura le Storie di Consalvo de Cordova, primo Vicerè di Napoli. Quando Carlo di Borbone salì al trono, gli interni del Palazzo furono modificati secondo i gusti del nuovo sovrano che impose un ampliamento e nuove decorazioni per le stanze. Il lavoro fu affidato a Francesco Solimena, Domenico Antonio Vaccaro, Francesco De Mura, Nicola Maria Rossi e una gran quantità di artigiani tra cui marmorari, intagliatori e ornamentisti vari. E’ in questo contesto che nel 1738 lo stesso Vaccaro dipinge i “Passetti ai lati dell’alcova di Maria Amalia di Sassonia, incredibilmente coperti da controsoffitti più moderni e ritornati alla luce solo nel 1990, così come il De Mura realizza l’Allegoria delle Virtù di Carlo e Maria Amalia nella Prima Anticamera.
Per quanto riguarda le porte, invece, quelle laccate di bianco che si aprono sull’ambulacro rispecchiano il gusto neoclassico di inizio Ottocento, mentre quelle interne, che risalgono a inizio XIX secolo, realizzate probabilmente dal pittore siciliano Antonio Dominici che le decorò su fondo d’oro con animali, piccoli esseri fantastici, coralli e conchiglie.
Gran parte del patrimonio artistico che si trovava all’interno del Palazzo non è più custodito nella residenza già da molto tempo. Infatti, i Borbone stessi avevano donato molte opere al Museo Nazionale e, successivamente, i Savoia, fecero trasferire tutto al Museo di Capodimonte. In loco rimangono soprattutto mobili e suppellettili, opere di alto artigianato che attraversano i secoli, in special modo gli anni in cui regnavano i Savoia. Si possono ammirare numerosi mobili realizzati da ebanisti napoletani tra XVIII e XIX secolo, arredi napoleonici risalenti al periodo in cui regnava Gioacchino Murat, arazzi e tappeti importati sempre dalla Francia o provenienti dalla Reale Arazzeria di Napoli. Tra i dipinti presenti, invece, quelli del Cinquecento e del Seicento appartengono in gran parte alla collezione Farnese ereditata da Carlo di Borbone, mentre altri (Honthorst, Spadarino, Preti, Andrea Vaccaro) vennero acquistati all’inizio del XIX secolo dalla Reale Galleria. Inoltre, troviamo numerosi ritratti di corte, come quello di Federico I realizzato da Vincenzo Camuccini, e altri ritratti da collezione eseguiti da pittori olandesi e comprati da Ferdinando quarto durante il suo regno a cavallo di XVIII e IXI secolo. Infine, altri dipinti risalenti all’Ottocento eseguiti da Vervoet, Catel, Fergola, Mattei, Serritelli e Smargiassi. Tra le opere esposte, infine, si possono ammirare anche porcellane (vasi di Sèvres in stile Impero, pezzi cinesi e russi, e produzioni napoletane provenienti soprattutto dalla bottega di Raffaele Giovine), orologi (tra i quali l’Atlante farne siano di Thuret e una macchina musicale di Clay risalente al 1730), sculture in bronzo e marmo, e, per finire, il bellissimo altare della Reale Cappella realizzato in stile barocco da Dionisio Lazzari.
Il Grande Appartamento di Etichetta, restaurato da Ferdinando di Borbone, è aperto al pubblico dal 1919 ed è raggiungibile attraverso il maestoso scalone d’onore che giunge all’ambulacro o loggia vetrata del primo piano. A destra, sul primo braccio, si trovano il Teatrino di Corte e le Sale di Udienza che affacciano su Piazza Plebiscito, mentre a sinistra vi sono le stanze dell’appartamento privato che affacciano sul giardino pensile; nel terzo braccio, si trovano il salone da ballo e la Cappella Reale, mentre il quarto si apre lungo le vetrate dello scalone da cui si può ammirare il panorama costituito dalla Collina del Vomero e dalla Certosa di San Martino.
La disposizione attuale è quella già prevista dagli antichi progetti di Domenico Fontana realizzati a Roma verso la metà del XVII secolo, eccezion fatta per la demolizione del Palazzo Vecchio (1838) e per la trasformazione della Sala Regia in Teatrino di Corte (XVIII secolo). Inoltre, nel 1837, un incendio rese necessario lo spostamento degli appartamenti privati reali al secondo piano, mentre durante la Seconda Guerra Mondiale, i bombardamenti sulla città distrussero il soffitto del Teatrino di Corte e quello della “Stanza dove sua Maestà si veste”, dove si trovava l’affresco di Francesco De Mura raffigurante l’Aurora (1765). Stessa sorte per i parati di San Leucio di alcune sale, prontamente rifatti tra il 1950 e il 1954.
Le decorazioni pittoriche che troviamo nelle stanze, riflette l’epoca in cui sono state eseguite e ciò che il committente voleva comunicare. Infatti, in gran parte dei soffitti di epoca seicentesca si trovano dipinti di ispirazione storica, in cui i sovrani spagnoli vengono raffigurati in trionfo o durante incarichi di prestigio. Tra queste spicca l’unico dipinto a soggetto laico pervenutoci di Battistello Caracciolo che raffigura le Storie di Consalvo de Cordova, primo Vicerè di Napoli. Quando Carlo di Borbone salì al trono, gli interni del Palazzo furono modificati secondo i gusti del nuovo sovrano che impose un ampliamento e nuove decorazioni per le stanze. Il lavoro fu affidato a Francesco Solimena, Domenico Antonio Vaccaro, Francesco De Mura, Nicola Maria Rossi e una gran quantità di artigiani tra cui marmorari, intagliatori e ornamentisti vari. E’ in questo contesto che nel 1738 lo stesso Vaccaro dipinge i “Passetti ai lati dell’alcova di Maria Amalia di Sassonia, incredibilmente coperti da controsoffitti più moderni e ritornati alla luce solo nel 1990, così come il De Mura realizza l’Allegoria delle Virtù di Carlo e Maria Amalia nella Prima Anticamera.
Per quanto riguarda le porte, invece, quelle laccate di bianco che si aprono sull’ambulacro rispecchiano il gusto neoclassico di inizio Ottocento, mentre quelle interne, che risalgono a inizio XIX secolo, realizzate probabilmente dal pittore siciliano Antonio Dominici che le decorò su fondo d’oro con animali, piccoli esseri fantastici, coralli e conchiglie.
Gran parte del patrimonio artistico che si trovava all’interno del Palazzo non è più custodito nella residenza già da molto tempo. Infatti, i Borbone stessi avevano donato molte opere al Museo Nazionale e, successivamente, i Savoia, fecero trasferire tutto al Museo di Capodimonte. In loco rimangono soprattutto mobili e suppellettili, opere di alto artigianato che attraversano i secoli, in special modo gli anni in cui regnavano i Savoia. Si possono ammirare numerosi mobili realizzati da ebanisti napoletani tra XVIII e XIX secolo, arredi napoleonici risalenti al periodo in cui regnava Gioacchino Murat, arazzi e tappeti importati sempre dalla Francia o provenienti dalla Reale Arazzeria di Napoli. Tra i dipinti presenti, invece, quelli del Cinquecento e del Seicento appartengono in gran parte alla collezione Farnese ereditata da Carlo di Borbone, mentre altri (Honthorst, Spadarino, Preti, Andrea Vaccaro) vennero acquistati all’inizio del XIX secolo dalla Reale Galleria. Inoltre, troviamo numerosi ritratti di corte, come quello di Federico I realizzato da Vincenzo Camuccini, e altri ritratti da collezione eseguiti da pittori olandesi e comprati da Ferdinando quarto durante il suo regno a cavallo di XVIII e IXI secolo. Infine, altri dipinti risalenti all’Ottocento eseguiti da Vervoet, Catel, Fergola, Mattei, Serritelli e Smargiassi. Tra le opere esposte, infine, si possono ammirare anche porcellane (vasi di Sèvres in stile Impero, pezzi cinesi e russi, e produzioni napoletane provenienti soprattutto dalla bottega di Raffaele Giovine), orologi (tra i quali l’Atlante farne siano di Thuret e una macchina musicale di Clay risalente al 1730), sculture in bronzo e marmo, e, per finire, il bellissimo altare della Reale Cappella realizzato in stile barocco da Dionisio Lazzari.
Sala I - Teatrino di Corte
A destra dello scalone, la prima sala che si incontra è il Teatrino di Corte. In precedenza, questo ambiente prendeva il nome di Sala Regia e veniva utilizzata per ospitare ricevimenti e spettacoli. Il nuovo progetto venne affidato a Ferdinando Fuga nel 1768, in occasione delle nozze tra Ferdinando IV e Maria Carolina d’Asburgo. La sala venne ornata con stucchi bianchi e oro e con nicchie; le sculture di cartapesta, realizzate da Angelo Viva, raffigurano Minerva, Mercurio e Apollo con le nove Muse. Dello stesso periodo anche il palco reale, realizzato sempre in carta pesta. Il palcoscenico e il soffitto, invece, non sono quelli originali, ma risalgono al restauro avvenuto tra il 1950 e il 1954, in cui vennero rifatti gli affreschi seicenteschi distrutti dai bombardamenti della guerra e dall’incendio del 1837. Tra questi, Francesco Galante si occupò di ricollocare al proprio posto una copia delle Nozze di Poseidone e Anfitrite di Anontonio Dominici; ai lati, Allegorie di Alverto Chiancone e Paesaggio di Vincenzo Ciardo e Antonio Bresciani, che ricordano i soggetti preduti realizzati nel 1768 da Antonio Dominici e Crescenzio La Gamba.
Il teatro venne inaugurato con una Serenata di G. B. Bassi su muiche di Paisiello e, nel corso degli anni ospitò soprattutto Opere Buffe di Piccinni e Paisiello e Commedie di Cimarosa, mentre fu poco utilizzato nell’Ottocento.
Qui venne proclamata la Repubblica Napoletana nel 1799.
Il teatro venne inaugurato con una Serenata di G. B. Bassi su muiche di Paisiello e, nel corso degli anni ospitò soprattutto Opere Buffe di Piccinni e Paisiello e Commedie di Cimarosa, mentre fu poco utilizzato nell’Ottocento.
Qui venne proclamata la Repubblica Napoletana nel 1799.
Sala II - Prima Anticamera o Sala del Corpo Diplomatico
Dal Teatrino di Corte si accede alla Sala del Trono attraverso tre anticamere.
La prima, detta Sala del corpo Diplomatico perché era usata per accogliere le delegazioni in visita, presenta un soffitto con affreschi di Francesco De Mura che raffigurano, tra riquadrature di Vincenzo Re, il Genio reale e le Virtù di Carlo e Maria Amalia di Sassonia (Fortezza, Giustizia, Clemenza, Magnanimità, Fedeltà, Prudenza e Bellezza) e Imeneo dio delle nozze discaccia il Furore e la Malignità. Alle pareti, due arazzi della fabbrica Gobelins raffiguranti le Allegorie degli elementi (aria e fuoco) come celebrazione del Re Sole, donati dal Nunzio Apostolico alla corte di Napoli nel 1719.
Il mobilio, invece, in stile neobarocco, è della seconda metà del XIX secolo, mentre gli sgabelli sono più antichi, visto che risalgono al periodo murattiano (intorno al 1815). Le porte, dipinte a tempera su fondo d’oro risalgono al periodo tra il 1774 e il 1776, sono attribuite alla bottega del sicliano Antonio Dominici.
La prima, detta Sala del corpo Diplomatico perché era usata per accogliere le delegazioni in visita, presenta un soffitto con affreschi di Francesco De Mura che raffigurano, tra riquadrature di Vincenzo Re, il Genio reale e le Virtù di Carlo e Maria Amalia di Sassonia (Fortezza, Giustizia, Clemenza, Magnanimità, Fedeltà, Prudenza e Bellezza) e Imeneo dio delle nozze discaccia il Furore e la Malignità. Alle pareti, due arazzi della fabbrica Gobelins raffiguranti le Allegorie degli elementi (aria e fuoco) come celebrazione del Re Sole, donati dal Nunzio Apostolico alla corte di Napoli nel 1719.
Il mobilio, invece, in stile neobarocco, è della seconda metà del XIX secolo, mentre gli sgabelli sono più antichi, visto che risalgono al periodo murattiano (intorno al 1815). Le porte, dipinte a tempera su fondo d’oro risalgono al periodo tra il 1774 e il 1776, sono attribuite alla bottega del sicliano Antonio Dominici.
Sala III - Saletta Neoclassica
La sala, posta tra il corridoio e la Seconda Anticamera, è un piccolo ambiente di gusto neoclassico disegnato dall’Architetto Gaetano Geneovese. Al suo interno, una statua in marmo raffigurante una Ninfa alata, realizzata da Giovanni De Crescenzo nel 1841.
Sala IV - Seconda Anticamera
La seconda anticamera presenta un soffitto con dipinti realizzati da Belisario Corenzio e dalla sua bottega intorno al 1622, raffiguranti i Fasti di Alfonso d’Aragona, re alla fine del XV secolo: Alfonso entra a Napoli, Cure per le arti e le lettere, la Sottomissione di Genova, la Consegna del Toson d’oro, l’Investitura reale di Alfonso.
All’interno sono conservate anche consoles napoletane di fine XVIII secolo, specchiere e poltrone del XIX secolo in stile Impero, vasi cinesi con frasi beneauguranti donate dallo zar Nicola I nel 1846. I vasi a orologio e i candelabri sono opera del bronzista francese Philippe Thomire e fanno parte degli arredi portati nella reggia dai Murat durante la dominazione francese. Infine, spicca la tella raffigurante la Vestizione di Sant’Aspreno di Massimo Stanzione.
All’interno sono conservate anche consoles napoletane di fine XVIII secolo, specchiere e poltrone del XIX secolo in stile Impero, vasi cinesi con frasi beneauguranti donate dallo zar Nicola I nel 1846. I vasi a orologio e i candelabri sono opera del bronzista francese Philippe Thomire e fanno parte degli arredi portati nella reggia dai Murat durante la dominazione francese. Infine, spicca la tella raffigurante la Vestizione di Sant’Aspreno di Massimo Stanzione.
Sala V - Terza Anticamera
La terza e ultima anticamera presenta anch’essa un soffitto decorato con un affresco di Giuseppe Cammarano raffigurante Pallade che premia la Fedeltà (1818). L’arredo, in stile neorococò, proviene dagli appartamenti della Regina Margherita e di Re Umberto I del Secondo Piano, ma traslato nell’attuale posizione durante i restauri dopo la Seconda Guerra Mondiale, insieme agli arazzi, tra cui uno di Pietro Duranti raffigurante il Ratto di Proserpina (o Allegoria del Fuoco), al grande orologio e ai vasi della bottega napoletana di Raffaele Giovine (1842).
Sala VI - Sala del Trono
Il soffitto, in stile neoclassico, è stato realizzato su disegno di Antonio De Simone da Domenico Masucci e Valerio Villareale che, in stucco e scagliola dorata, hanno creato una decorazione raffigurante l’estensione del Regno delle Due Sicilie nel 1818: dodici figure femminili con corona ed iscrizione a rappresentare altrettante province, Napoli e la Sicilia, invece, sostituite dai loro simboli, il cavallo e la trinacria.
In fondo alla sala, un grande baldacchino di velluto rosso e galloni dorati, risalente al XVIII secolo, proveniente dal Palazzo Reale di Palermo e spostato nell’attuale locazione nel 1860, che fa da cornice al trono, in stile Impero, realizzato intorno alla metà del XIX secolo, al quale venne aggiunta successivamente l’Aquila sabauda. Lungo le pareti, si possono osservare i ritratti dei personaggi di corte, compresi re, principesse, regine e anche gli ambasciatori turchi e tripolini immortalati nel 1741 da Giuseppe Bonito. Il mobilio, di artigianato aulico napoletano, è databile intorno al 1840, mentre le quattro torciere in stile impero agli angoli della stanza arrivano dalla fabbrica di Sarreguemines e fanno parte dell’arredo napoleonico.
In fondo alla sala, un grande baldacchino di velluto rosso e galloni dorati, risalente al XVIII secolo, proveniente dal Palazzo Reale di Palermo e spostato nell’attuale locazione nel 1860, che fa da cornice al trono, in stile Impero, realizzato intorno alla metà del XIX secolo, al quale venne aggiunta successivamente l’Aquila sabauda. Lungo le pareti, si possono osservare i ritratti dei personaggi di corte, compresi re, principesse, regine e anche gli ambasciatori turchi e tripolini immortalati nel 1741 da Giuseppe Bonito. Il mobilio, di artigianato aulico napoletano, è databile intorno al 1840, mentre le quattro torciere in stile impero agli angoli della stanza arrivano dalla fabbrica di Sarreguemines e fanno parte dell’arredo napoleonico.
Sala VII - Passetto del Generale
Accanto alla sala del trono, si apre il cosiddetto “Passetto del Generale”, un corridoio decorato in stucco bianco e oro con tele di Tommaso De Vivo, raffigurante Storie della vita di Giuditta (1841-1848). Qui è conservata una grande scacchiera, usata da Carolina Murat quando era regina di Napoli, mentre gli sgabelli con le zampe di leone sono attribuiti all’artigianato inglese degli inizi del XVIII secolo.
Sala VIII - Antica galleria o Sala degli Ambasciatori
Dal Passetto si passa all’Antica Galleria, detta Sala degli Ambasciatori, la cui volta è affrescata con i Fasti della Casa di Spagna, Episodi della vita di Ferrante di Aragona, suddivisi in quattordici riquadri incorniciati da stucchi, opera attibuita a Belisario Corenzio, Onofrio e Andrea De Lione che, probabilmente, vi lavorarono negli anni venti del XVII secolo. Più recenti (successivi al 1640), invece, gli altri tre dipinti che raffigurano Storie di Marianna d’Austria. Alle pareti, troviamo arazzi francesi in stile Impero napoletano, risalenti ai primi anni venti dell’Ottocento, orologi di epoca napoleonica e un dipinto di Artemisia Gentileschi raffigurante L’annunciazione (1631).
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